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Atelier, quando la lingerie diventa protagonista

21 Dicembre 2018
Gioele Albertini

Una giovane appassionata di tessuti alle prime armi, trova lavoro in una piccola ma prestigiosa azienda di lingerie, ma avrà bisogno dell’aiuto di amici e colleghi per riuscire a farsi strada nel difficile mondo della moda.

Atelier è una serie tv giapponese del 2015 prodotta da Fuji Television in collaborazione con Netflix. Consiste in una sola stagione composta da 13 episodi della durata di 45 minuti circa.

La serie ruota intorno a Tokita Mayuko (soprannominata Mayu), una giovane studentessa appena laureata e appassionata di tessuti, che riesce a trovare lavoro in un piccolo atelier di lusso, Emotion, con sede nel quartiere Ginza, a Tōkyō. La boutique è specializzata in lingerie femminile e, nonostante le ridotte dimensioni, le sue produzioni sono rinomate in tutta la città. Inizialmente molto ambiziosa sul suo futuro e supportata dalla ristretta cerchia di colleghi, la giovane Mayu dovrà invece lavorare sodo per poter entrare a tutti gli effetti nel mondo della moda e conformarsi alle regole di Nanjō Mayumi, fondatrice e designer principale di Emotion, con una visione molto chiara della bellezza. Durante tutta la serie Mayu non solo si impegnerà per consolidare la sua posizione, ma – insieme a tutto lo staff dell’atelier – affronterà un mondo che si rivelerà essere pieno di insidie, fra rivalità interne e rischi di bancarotta.

La serie è interessante soprattutto perché attraversa diversi generi: comincia come storia di formazione incentrata sulla protagonista, per poi passare ai toni dello pseudo-dramma che coinvolge i personaggi dell’intero cast, il tutto condito da piccole situazioni comiche presenti in ogni episodio, che riescono a strappare il sorriso allo spettatore nonostante la drammaticità delle vicende di fondo.

Inoltre la serie non si concentra solo sulla giovane Mayu: il suo rapporto con i colleghi e soprattutto con il capo Nanjō non ripercorre il tipico cliché che vede la protagonista ostacolata e all’occorrenza schernita. Al contrario, nel corso degli episodi non solo i vari collaboratori si rivelano importanti alleati per la giovane, ma ognuno di essi ha a sua volta una propria storia che lo rende in sé protagonista e parte integrante della serie. Di fatto è difficile stabilire un personaggio principale perché tutti contribuiscono allo svolgersi degli eventi. La stessa stilista Nanjō è oggetto di un notevole approfondimento verso la metà della serie, tanto che un intero episodio è dedicato solo a lei, con una presenza minima di Mayu.

Riguardo all’elemento portante della trama, la lingerie femminile, può sorprendere il fatto che, nonostante sia appunto centrale, in nessuna occasione viene sessualizzata, né graficamente né a livello di parlato: descrizioni eccessivamente sensuali sono del tutto assenti, e stiamo parlando di uno show dove numerose sono le sfilate di moda.

Un ultimo rilievo: quando è presente una scena comica quasi sempre si ricorre almeno una volta a un veloce spostamento della camera, in modo da avere un immediato ingrandimento, più ampio o più chiuso. È una tecnica che ricorda l’animazione di produzione sempre nipponica, ed è per questo che merita attenzione.

Per concludere, nonostante poi il focus di tutta la narrazione sia la lingerie, qualcosa quindi prettamente femminile, l’importanza data anche ad altri elementi come affari, business, moda in generale e soprattutto vicende personali rende Atelier a tutti gli effetti una serie diretta ad ambo i sessi.

 

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