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The Tatami Galaxy: miti e leggende della stanza da quattro tatami e mezzo

1 Ottobre 2016
Fabio Lenzi

Siamo sinceri: forse mai come in questi anni risulta fondamentale l'esistenza di una sorta di animazione d'autore. In effetti, nel panorama anime degli ultimi anni, popolato da timide liceali e prosperose tsundere con smanie di potere, nonché troppo spesso schiavo di un fanservice eccessivamente insistente, le opere in grado di inventare nuovi paradigmi artistici che si discostino da un sentiero già così profondamente tracciato risultano estremamente preziose.

Proprio per questo i lavori di Masaaki Yuasa ci appaiono come una vera e propria ventata d'aria fresca: psichedelico, coloratissimo, tremendamente espressivo, lo stile di Yuasa si propone come una straripante summa di diverse influenze, da Yellow Submarine a Mrs. Pepperpot, a creare un mondo visivamente fantastico, quasi sognante, in cui lo spettatore non può fare altro che perdersi, godendo appieno dello spensierato esistenzialismo delle sue storie.

In questo contesto si va decisamente a collocare la sua opera forse più famosa: The Tatami Galaxy (Yojōhan shinwa taikei 四畳半神話大系), anime del 2010 prodotto dalla Madhouse e ispirato al romanzo omonimo di Tomihiko Morimi.

L'anime è incentrato su un innominato studente universitario di Kyoto, mosso dalla speranza di poter realizzare il sogno della cosiddetta "rosea vita del campus", un ideale e fiabesco status quo fatto di popolarità e di bellissime ragazze dai capelli corvini sulle quali riversare il proprio incondizionato amore. Per raggiungere questo obiettivo il nostro protagonista decide di iscriversi a un club universitario, ma l'unica persona che alla fine conosce è Ozu, un losco studente dall'aspetto ambiguo e demoniaco ("ma che cattiveria!", mi sembra quasi di sentir ribattere lo stesso Ozu), con il quale finisce a malincuore per mettersi in combutta nell'organizzazione di malefatte ai danni delle coppie del campus. Tuttavia, negli ultimi secondi del primo episodio, osserviamo le lancette della torre dell'orologio universitaria tornare indietro, e proprio in questo movimento, che diverrà una costante nel corso della storia, risiede l'anima dell'opera.

Infatti, ad ogni episodio, il nostro protagonista avrà la possibilità di vivere parallelamente un nuovo percorso dall'inizio, in base al club scelto. Lo vedremo quindi alle prese con il club del cinema, con quello della bicicletta o con un'infida setta universitaria, salvo ogni volta vedere la propria vicenda concludersi con un drammatico climax che lo porterà sempre più lontano dalle sue aspirazioni di popolarità e appagamento amoroso. Egli stesso, nella metaforizzazione finale della propria condizione, di stampo puramente kafkiano, si ergerà a intellettuale moderno, elaborando un'isterica filosofia dei quattro tatami e mezzo, una sorta di disperato parossismo derivante dal vedere le proprie irreali ambizioni spazzate via.

Ad accompagnare il ragazzo in queste avventure, oltre all'onnipresente Ozu, vi sono una serie di personaggi decisamente peculiari: Akashi, una brillante e riservata studentessa di ingegneria, di cui il protagonista è quasi inconsapevolmente innamorato; Higuchi, un bonario studente dell'ottavo anno, più simile a un santone contemporaneo che a un universitario fuoricorso; Jōgasaki, aitante capo del club del cinema, con un feticismo segreto per le mammelle e innamorato della sua love doll Kaori. Ognuno dei personaggi finirà, nel corso delle puntate, per essere una solida controparte ai tormenti e alle speranze dell'innominato protagonista, finendo per enfatizzarne gli aspetti emotivi più intimi. La simbologia stessa degli oggetti e dei luoghi attorno a loro finirà per diventare parte integrante degli eventi, suggerendone spesso il senso più profondo.

The Tatami Galaxy rappresenta una vera e propria perla nel panorama dell'animazione contemporanea: attraverso le sue intelligenti metafore e le sue profonde meditazioni, unite a un senso dell'umorismo che si sposa perfettamente con gli stravaganti avvenimenti che ci vengono presentati, l'opera di Yuasa ci fa percorrere il viaggio di un uomo verso una maggiore autoconsapevolezza della propria condizione. Il mochiguman perso da Akashi, una sorta di pupazzetto portafortuna continuamente davanti agli occhi del nostro protagonista, diventerà per lui il simbolo di una nuova prospettiva di vita che, seppur distante dalla tanto agognata "rosea vita del campus", saprà condurlo verso una più genuina felicità.

Una piccola nota per quanto riguarda la colonna sonora: la opening è Maigoinu to Ame no Beat (迷子犬と雨のビート) degli Asian Kung-Fu Generation, mentre la ending è Kami-sama no Iutōri (神様のいうとおり) di Etsuko Yakushimaru. A quanto pare entrambi gli artisti in questione non riescono a fare un brano per anime che non sia effettivamente fantastico.

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