In Cocoon, Machiko Kyō affronta il trauma della II Guerra Mondiale nell’inconscio collettivo del Giappone, ma dall’insolita prospettiva di una ragazza arruolata come infermiera durante la battaglia di Okinawa. Un manga di formazione che ci mostra come non sempre una crisalide riesce a rompere il bozzolo.
Per noi disillusi abitanti del 2018, il ventesimo secolo è il secolo della memoria, il periodo storico al quale facciamo risalire gli inizi della contemporaneità; è anche il secolo in cui l’umanità ha perso l’innocenza. la capacità di guardare al futuro con incondizionata fiducia: le radici del presente affondano nei traumi delle due guerre mondiali. Difficile dire se vi sia stato un unico evento che ha inequivocabilmente segnato questa perdita nell’inconscio collettivo: per il Giappone si pensa di solito al bombardamento di Hiroshima, o al radiomessaggio durante il quale l’imperatore Hirohito parlava per la prima volta ai suoi sudditi annunciando la sconfitta. In Cocoon (uscito lo scorso settembre per Dyinit Manga, nella traduzione di Asuka Ozumi, con postfazione di Paola Scrolavezza) Machiko Kyō affronta il trauma della guerra, ma da una prospettiva insolita: quella di una ragazza arruolata come infermiera durante la terribile battaglia di Okinawa.
Okinawa fa parte di un arcipelago all’estremo sud del Giappone, da sempre considerato un territorio periferico, abitato da una minoranza linguistica e annesso definitivamente soltanto alla fine dell’800. La guerra per la prima volta nella storia del paese lo ha messo tragicamente al centro dell’attenzione, a causa della sua posizione strategica nel controllo degli arcipelaghi oceanici. La battaglia di Okinawa fu uno degli scontri più sanguinosi della Guerra del Pacifico: soltanto tra i civili si stimano tra le centomila e le centocinquantamila perdite, quasi metà della popolazione dell’isola. Questo anche perché, durante le ultime fasi della battaglia, la popolazione civile venne arruolata per svolgere mansioni di supporto all’esercito ormai decimato. Quando poi la sconfitta divenne inevitabile, le autorità militari addirittura raccomandarono ai cittadini il suicidio piuttosto che la resa.
Tra i corpi civili che parteciparono ai combattimenti, vi erano le himeyuri 姫百合 (il nome giapponese della varietà di gigli “stella del mattino”), che indossavano come simbolo l’omonimo fiore: erano un corpo di infermiere costituite da insegnanti e studentesse provenienti da prestigiose scuole femminili dell’isola. Proprio attraverso lo sguardo di una di esse Machiko Kyō ci mostra gli orrori della guerra. La nostra protagonista, San, ci accompagna così nelle grotte adibite a ospedali in cui le himeyuri accudivano i feriti, attraverso l’odore della carne in decomposizione e il rumore dei bombardamenti, fino a una disperata fuga quando arriva l’ordine di sciogliere il corpo.
Come il titolo lascia ben intendere, Cocoon (in italiano, bozzolo) è un manga di formazione: la protagonista, San, ha l’ingenuità di una ragazza cresciuta da sempre in un’isola fuori dal mondo, mentre la coprotagonista Mayu, che ha vissuto a Tokyo, appare più consapevole e per questo assume il ruolo di leader. San, invece, è avvolta nel bozzolo di un mondo scolastico e infantile privo di figure maschili; è incapace di confrontarsi con la realtà, al punto che, nel suo sguardo, i soldati, gli uomini, sono figure indistinte, sagome bianche.
La mangaka disegna di conseguenza, utilizzando l’acquerello e un tratto stilizzato e dolce, quasi kawaii, totalmente irrealistico, ma che proprio per questo risulta ancora più incisivo quando l’orrore della guerra irrompe attraverso le immagini di fosse di cadaveri e ferite infette piene di vermi. Le atmosfere sono rarefatte e a tratti oniriche – d’altronde è proprio l’autrice a informarci, nel commento finale, che il suo racconto non vuole essere realistico, quanto piuttosto tradurre ciò che potrebbe sognare una ragazza di oggi dopo aver letto un libro di storia sulla guerra.
La struttura concettuale del manga è dunque imperniata sulla metafora del bozzolo e della crisalide, tipica del racconto di formazione – i lettori più ‘anziani’ ricorderanno il guscio dell’uovo e il pulcino in La rivoluzione di Utena. In Cocoon la guerra è l’evento traumatico che trasforma la crisalide in farfalla catapultando la protagonista nell’età adulta.
Ma il bozzolo può essere anche quello del sogno imperialista in cui era caduto il Giappone, rivelatosi poi un incubo. Ricorrono così nell’opera gli slogan nazionalisti, cui i sudditi dell’Imperatore erano talmente assuefatti da preferire il suicidio alla resa: proprio molte delle himeyuri si dettero la morte, convinte che gli americani fossero degli indemoniati che avrebbero profanato la purezza dei loro corpi e dell’intera nazione. Ma alla fine del manga San afferma che gli orrori della guerra potrebbero aver reso la farfalla incapace di volare. Nemmeno il Giappone si è ancora liberato del tutto dei traumi lasciati dal conflitto nel suo inconscio collettivo: basta pensare al fatto che, ancora oggi, il governo giapponese tende a negare alcuni dei crimini di guerra commessi.
Anche Cocoon è in un certo senso una farfalla senz’ali: fedele alla sua qualità onirica, la storia è priva di una conclusione significativa, ma nel far ciò lascia il lettore con l’amaro in bocca, con la sensazione che manchino uno sviluppo e una risoluzione che invece dovrebbero essere propri di un racconto di formazione: l’autrice stessa, sempre nel commento finale, afferma di essersi “scontrata più volte con la mia maturità inespressiva”. Il manga ci offre una prospettiva inedita, femminile e periferica, su uno dei momenti più significativi della storia giapponese contemporanea; ma dimostra ancora una volta quanto sia difficile, anche a 70 anni di distanza, confrontarsi con quanto accaduto durante la II Guerra Mondiale e trovargli un senso.