L’Attacco dei Giganti, Attack on Titan, Ataque a los Titanes, sono alcune delle diverse traduzioni di un’opera che, recentemente, è riuscita a ritagliarsi quasi con prepotenza un importante spazio fra i maggiori fenomeni della cultura pop, e che nel proprio paese natio (e non solo) sfoggia orgogliosamente quel titolo che tanto è familiare alle orecchie degli appassionati di tutto il globo: Shingeki no kyojin (進撃の巨⼈).
Partorite dalla creativa mente del giovane mangaka Hajime Isayama, nel 2011 queste monocromatiche vignette sono state insignite del prestigioso premio Kōdansha come miglior opera manga per ragazzi, e vantano una nomination nella 16° edizione del Premio Culturale Osamu Tezuka e al Manga Taishō. Annoverano inoltre una trasposizione animata di ampio successo e due film live action di prossima uscita nelle sale nipponiche, un sold out preannunciato.
Per lo stile di disegno deciso, quasi graffiante, e per il tipo di tematiche affrontate, l’opera si inserisce nell’ormai stipato scaffale degli shōnen a carattere action a tratti horror, che vantano una considerevole presa sul pubblico e una non indifferente diffusione fra le diverse stratificazioni di lettori. Ma l’elemento chiave che ha permesso al lavoro del maestro Isayama di emergere tanto clamorosamente in un tale mare di déjà-vu artistici è rappresentato da quell’ingranaggio posto dall’autore stesso come motore primo d’ogni sua vignetta, posizionato consapevolmente attraverso uno strumento di lavoro tramutato per l’occasione in un dispositivo dalle potenzialità espressive illimitate. Un ingranaggio che ha su di sé impresso il numero seriale Hajime Isayama. L’opera trae quindi linfa vitale dalle esperienze giovanili dell’autore, travagliate, autentiche.
La trama, apparentemente semplice e lineare, è ambientata in una sorta di Medioevo alternativo, che affianca alla sofisticata tecnologia degli strumenti di combattimento impugnati dai personaggi, scene di quotidianità e panorami che riportano alla mente un’età di mezzo tutta europea. La razza umana, che placidamente conduce la propria esistenza protetta e confinata da una serie di imponenti mura concentriche, viene scossa dalla comparsa di colossali creature antropomorfe e antropofaghe denominate appunto “giganti”. Si assiste all’evoluzione del giovane protagonista, Eren Jager, e della sorella adottiva, Mikasa Ackermann, pronti a difendere il genere umano a costo della loro vita. Altri piccoli eroi dal volto puerile si uniranno alle loro imprese, arruolati in un particolarissimo ordine militare.
Sfumature di gore, improvvisi colpi di scena, climax incalzanti e interessanti rovesciamenti di ruoli impreziosiscono la narrazione, a vantaggio del lettore assetato di avventure e imprese eroiche, pronto a salpare sulla prima imbarcazione in partenza dal porto della realtà.
Ma L’Attacco dei Giganti si presenta come un’opera decisamente più simbolica d’un semplice racconto fantascientifico, quasi come una produzione polisemica; le imponenti mura che schermano la vista da un mondo meraviglioso rappresentano in realtà il desidero d’un infante di scoprire la vastità del reale, di un piccolo Isayama cresciuto tra le montagne d’una cittadina della prefettura di Ōita. Le orribili creature che devastano il fantasioso mondo da lui descritto assumono non a caso le sembianze del più spaventoso tra gli animali viventi, l’uomo, il maggiore pericolo per la propria specie. Atti di violenza e di intimidazione, bullismo e simili, rimbombano nella mente dell’autore come minacciosi colossi contro i quali non resta altro da fare che combattere!