Con questa recensione non abbiamo intenzione di portarvi in mondi fatati popolati da strane creature, non vogliamo parlarvi di ragazze magiche che combattono streghe cattive né di supereroi che combattono il male per salvare il pianeta. Questa è la nostra recensione di Gen di Hiroshima (Hadashi no Gen はだしのゲン, Lett: Gen dai piedi scalzi). Per chi di voi ha letto o ha idea di cosa sia questo “mostro” sa bene che non è certo facile parlarne a un livello critico, e nemmeno puramente personale. Il manga è terribile, disturbante, orrendo. Affascinante e crudelmente reale. Pubblicato inizialmente in Giappone in 10 volumi tra il 1973 è il 1987, è un racconto semi-autobiografico firmato da Keiji Nakazawa, un hibakusha (被爆者), un sopravvissuto.
La storia ci porta a Hiroshima nel 1945, agli sgoccioli della seconda guerra mondiale. La città è ormai depauperata, con poche risorse e in preda alla miseria. La guerra è persa. Ma questo non è quello che è permesso pensare.Il Giappone trionferà sul nemico occidentale, viene spesso ribadito in tutto il corso dell’opera, anche dopo lo spartiacque rappresentato dal 6 Agosto. Subito veniamo catapultati nella casa di Gen, un ragazzino che gioca con i fratelli e cerca di mantenere in famiglia la parvenza di una tranquilla vita quotidiana. Il padre è però un pacifista, e Gen si ritrova spesso a confondere e confrontare la versione – che gli viene propinata a scuola – di un Giappone superiore a tutto e tutti, destinato sotto la guida dell’Imperatore a dominare e vincere la guerra, con la versione più “veritiera” del padre, che ascolta la sera quando cenano tutti insieme. La vita sembra scorrere più o meno normalmente, non fosse che l’intera famiglia si ritrova ridotta in miseria in quanto additata come “traditrice della patria e di sua maestà l’Imperatore”. Poi, il 6 Agosto.
Non siamo certo noi a dovervi spiegare cosa accadde il 6 Agosto 1945 a Hiroshima. La città viene illuminata da quello che sembra un secondo sole, per poi piombare nella devastazione più totale. Quella che era, per quanto stremata, una città tra le più grandi del Giappone ora non esiste più, e con lei i suoi abitanti. Dopo aver perso gran parte della famiglia, Gen si mette in cammino e cerca di comportarsi come l’uomo di casa, aiutando la madre e i pochi superstiti a lui cari. Ma il vero inferno non è quello che stanno lasciando. Il vero inferno si manifesta pochi capitoli dopo, con i primi effetti delle radiazioni. Gen si ritrova – iconicamente – calvo, mentre sua madre smette di produrre latte, nonostante abbia da poco partorito. Nel mentre, il fratello maggiore, arruolatosi in marina per espiare l’“onta” del padre, viene assegnato all’unità kamikaze. Si apre quindi un secondo filone nella narrazione, dedicato alla vita in caserma e all’atmosfera dei “fortunati” piloti che avrebbero dato la propria vita per la patria.
Non vogliamo volontariamente dirvi altro della trama in quanto Gen di Hiroshima è un mondo da scoprire e vivere, un mondo che parla, urla una sola cosa: il vero inferno lo creano gli uomini. Passando agli aspetti più tecnici, il disegno appare semplice. Semplice e bonario nella prima parte, spassoso e a volte forse anche “di seconda mano”. Ma è proprio questo il punto forte dell’opera. Il disegno simpatico e semplice diventa uno strumento per descrivere e mostrare nel modo più immediato, diretto e grottesco gli effetti della devastazione. Le persone si trasformano in zombie che paiono usciti dall’ultimo film di Romero, il paesaggio non è altro che una rovina bianca e piatta, le poche persone rimaste sono spazzini, razziatori che depredano cadaveri per poter sopravvivere per quel poco che rimane loro. Un disegno nudo e crudo, come molti dei personaggi che si intravedono nella desolazione.
Se siete alla ricerca di una lettura impegnata, Gen di Hiroshima può fare al caso vostro, tanto più che è da poco uscito in un volum(on)e unico. Una storia ricca e complessa, un intreccio di sotto-storie che mettono a nudo il Giappone alle soglie della sconfitta. Certamente non una lettura leggera per conciliare il sonno. A meno che non vogliate sognare la fine del mondo.