La suggestione per questo articolo è nata da una collaborazione con il Museo delle Culture di Lugano in occasione della mostra L'art de l'amour au temps des geishas, inaugurata il 5 novembre alla Pinacothèque de Paris. Una versione più estesa è stata pubblicata all’interno del catalogo della mostra.
È diventato impossibile oggi parlare di pornografia senza considerare l’impatto che l’avvento di internet ha avuto non solo sui meccanismi di produzione, diffusione e fruizione del porno, ma anche sul modo in cui lo approcciamo, come critici o come semplici spettatori della progressiva ‘pornificazione’ del reale. Non solo, ma è un dato di fatto che, proprio attraverso il web, da internet alla videofonia, dal cinema ai video clips, dal manga ai videogiochi, la pornografia made in Japan in anni recenti si è imposta come un vero e proprio fenomeno transnazionale, tanto che il mercato di esportazione del porno è oggi in Giappone fra quelli più attivi.
Da una serie di interviste informali proposte a un campione di 60 soggetti di età compresa fra i 19 e i 40 anni, si scopre che all’origine dell’interesse per la pornografia prodotta nel Sol Levante ci sono i manga e gli anime hentai, la passione per i quali solito si sviluppa partendo dai dōjinshi (manga amatoriali) che ricalcano lo stile dei mangaka più famosi (come Rumiko Takahashi, Masakazu Katsura, Akira Toriyama, Studio Gainax), per poi arrivare alla ‘scoperta’ di lavori inediti ad hoc. La fruizione anche in questo caso avviene tramite il web, e in effetti il cyberspazio offre un’ampia scelta di siti – a pagamento o meno – dove il materiale è visionabile in streaming, oppure scaricando (illegalmente) anime clips, video e scanlations.
La maggior parte degli intervistati sostiene inoltre di avere cercato e visionato pornografia giapponese live action nella speranza di trovare le stesse tematiche proposte dagli hentai ma con attori reali, motivo per cui ad andare per la maggiore sono i porno di ambientazione scolastica o famigliare, dove si inscenano finte molestie e atti di bullismo (in giapponese ijime), oppure pseudo-violenze fra sedicenti parenti, fra responsabili e sottoposti, fra infermiere e pazienti o, in anni più recenti, fra i passeggeri della metropolitana stracolma di gente. Un altro genere di pornografia molto ricercato è anche quello legato a pratiche fetish, che vedono la costrizione della protagonista femminile tramite le raffinale tecniche del bondage e l’utilizzo di giocattoli erotici per provocare orgasmi, accompagnati dall’immancabile spruzzo di fluidi corporei più o meno genuini o da pratiche più o meno degradanti, quali la minzione e l’uso di clisteri.
In ogni caso, la parola chiave per comprendere la popolarità del Japan porn sembra essere hentai. Il termine è traducibile letteralmente come ‘perverso’, ‘perversione’, e da diversi anni viene utilizzato per indicare il mondo ampio e diversificato del manga erotico giapponese, che coinvolge fasce di pubblico sempre più ampie anche all’estero. E’ bene tuttavia precisare che il termine hentai in Giappone viene utilizzato per designare, all’interno del più ampio mondo dell’ero manga (il manga erotico), un genere specifico, con contenuti etero o omosessuali estremi, devianti, ‘anormali’, mentre in Europa e Nord-America è diventato di uso comune per indicare anime o manga che ritraggano in modo esplicito una qualsiasi forma di attività o rapporto sessuale, con una ricorrenza di alcuni topoi particolarmente graditi al pubblico: roricon (o lolicon, crasi da ‘Lolita complex’) che con il suo focus su figure di adolescenti sconfina spesso nella child pornography; rape; tentacle sex; bondage e sadomaso futanari (o shimēru, dall’inglese ‘she-male’); “transgender saffico” (dove una donna “abusa” di un transgender); gangbang; incesto; rivisitazioni del bukkake. Il tutto all’interno di una trama narrativa coerente.
Le origini dello hentai in Giappone risalgono all’epoca Meiji (1868-1912), quando il termine comincia a essere utilizzato per indicare una devianza dalla norma o dalla ‘normalità’ nell’ambito della nascente psicologia, ma la sua diffusione oltre i confini dell’arcipelago è legata allo hentai boom che il paese vive negli anni ’60, in concomitanza con l’arrivo della rivoluzione sessuale. Da questo momento si scatena un interesse che ancora oggi non conosce battute d’arresto, come testimonia l’appropriazione dei suoi temi e stilemi da parte delle nuove forme di cultura pop, anime e manga, e la loro riproposta nel mondo dell’arte in forme iperboliche e parossistiche, con significati e finalità di volta in volta ironiche, parodistiche, satiriche, provocatorie, o di protesta.
Ed è proprio il successo che ha riscosso e continua a riscuotere che ha determinato all’estero un utilizzo del termine in senso più ampio, al punto da rendere oggi difficoltoso estrapolare delle caratteristiche comuni al di là delle tematiche e dei topoi a cui abbiamo già accennato. Per quel che riguarda la tecnica del disegno, le convenzioni non si discostano per lo più da quelle del manga mainstream, anche se l’hentai si caratterizza per la presenza copiosa di fluidi corporei e per la tendenza a ombreggiare o pixellare gli organi sessuali, quando non vengono sostituiti con simboli come nel tentacle sex. Quest’ultima caratteristica si sviluppa – come è facile intuire – dalla necessità di trovare un compromesso con il ben noto articolo 175 della Costituzione, che vieta la rappresentazione esplicita di peli pubici e genitali. Emblematico il caso del manga Urotsukidōji di Toshio Maeda (da cui poi l’OAV omonimo di Hideki Takayama), al quale si deve – come spiega Marco Benoît Carbone – la definizione del paradigma moderno del tentacle, e dove il ricorso ai tentacoli è spiegato appunto dal tentativo di aggirare le paradossali regole della censura giapponese. Ma, al di là di stilemi e tecniche, quello che colpisce è come fra i materiali sempre più variegati e dalle provenienze più svariate cui internet consente l’accesso, l’interesse per il porno giapponese in tutte le sue forme sia sempre più spesso indissolubilmente legato alla passione per lo hentai manga, e alla trasgressione implicita in certe pratiche – fetish, bondage, bukkake.
Le immagini appartengono al repertorio del maestro Toshio Maeda.
Per il questionario da cui sono derivati i dati statistici citati nel testo si ringrazia per la preziosa collaborazione Marco De Lazzer.
Riferimenti bibliografici:
Giovanna Maina, Spostamenti progressivi del ‘vedere’, in M. Ambrosini, G. Maina, E. Marcheschi (a cura di), I film in tasca. Videofonino, cinema e televisione, Felici, Pisa 2009
Mark McLelland, “A Short History of Hentai”, in Intersections: Gender, History and Culture in the Asian Context, 12 (gennaio 2006), http://intersections.anu.edu.au/issue12/mclelland.html
Marco Benoît Carbone, Tentacle erotica: orrore, seduzione, immaginari pornografici, Mimesis Edizioni, Milano 2013