Fujita Naoya, al suo esordio come regista, porta al Far East Film Festival di Udine un’opera delicata, il racconto di un’amicizia tra due schivi giovanissimi con un vissuto familiare personale non convenzionale, allegoria della potenza creativa dell’intrattenimento e del teatro.
Il regista – classe 1991 – sceglie di rendere protagonista di Confetti (in originale Mabuta no tenkōsei) il taishū engeki, il teatro popolare giapponese, forma d’arte e di intrattenimento meno conosciuta di altre storiche come il kabuki o il teatro nō, con le quali tuttavia ha in comune numerose caratteristiche, tra cui la figura dell’onnagata, attore di sesso maschile che interpreta ruoli femminili. Il ruolo da protagonista è affidato infatti al giovane Yuki, giovanissimo membro della Yuhiza, troupe teatrale che, capitanata dal padre, gira senza sosta il Giappone per mettere in scena i propri spettacoli di teatro in teatro. Per Yuki, schivo e introverso, gli altri membri della troupe sono come una famiglia e la sua aspirazione è seguire le orme del padre, diventando un attore professionista. Ormai abituato alla vita nomade, Yuki non ha avuto l’infanzia tipica di qualsiasi altro ragazzino della sua età, è cresciuto senza legami o amici stretti mai frequentando la stessa scuola per più di qualche mese. La pellicola infatti non a caso si apre sull’ennesimo trasloco della troupe a Tokyo e l’iscrizione del ragazzo a una scuola locale. Rassegnato e quasi alienato all’idea di dover ricominciare tutto da capo, Yuki si chiude al mondo esterno, si rifiuta anche di aprirsi alle persone e, davanti alla perplessità del suo professore, risponde che “starò in questa scuola solo un mese, non mi servono amici”.
Yuki non ha mai attribuito particolare importanza alla propria istruzione, collezionando voti scadenti uno dopo l’altro convinto che il suo futuro sarebbe stato nella recitazione. Le cose cambiano quando conosce Ken, un compagno di classe assenteista: Ken è però genio nella matematica dai voti altissimi e afferma di non frequentare la scuola perché lo annoia. Grazie a un fortuito incontro durante un concerto di idol, i due cominciano a legare.
Pian piano, Yuki si apre a Ken e Maya, compagna di classe dei due ed ex ragazza di Ken che non ha mai accettato l’atteggiamento indolente del ragazzo, e questo diventa per lui un’occasione per riflettere sul ruolo e sul valore dell’intrattenimento: ha sempre pensato al teatro popolare come a una parte importante della propria vita, tuttavia non è mai riuscito a metterci veramente il cuore. Come nota lo stesso padre del protagonista, veterano del teatro e attento osservatore dell’evoluzione della sensibilità del figlio, le sue interpretazioni come onnagata sono tecnicamente perfette, ma mancano di sentimento, come se non gli importasse del pubblico.
È l’angoscia e la consapevolezza della propria diversità a legare i due ragazzi, entrambi con due passati non convenzionali alle spalle: Yuki idealizza il suo nuovo amico, lo vede libero, intelligente, padrone del proprio futuro, con una madre gentile, una bella casa e tutto sommato una vita “normale”, agli antipodi della sua esistenza nomade, senza legami stabili o un luogo da poter chiamare “casa”. Quando però esprime candidamente la sua gelosia all’amico, sarà lo stesso Ken a rivelargli il suo passato: non ha in realtà veri legami di sangue con la sua famiglia e questo crea tra di loro una barriera di incomprensioni. Inoltre, nonostante si impegni nello studio, ammette che non è per un reale interesse ma solo per avere maggiori possibilità di scelta per il proprio futuro. “A differenza di te, io non ho un sogno”, confessa all’amico.
La pellicola offre anche uno sguardo sullo stato di forme d’arte legate al passato o comunque ormai in declino, all’interno di un contesto metropolitano in perenne evoluzione: Ken è un grande fan del J-POP ma è consapevole che ormai è superato, e anche il suo gruppo preferito, sottoposto a continui soprusi da parte del management, decide di sciogliersi. Non solo, ma Asaka, la sua idol preferita, finirà per essere accolta nella Yuhiza sotto pressione della madre, grande fan del teatro popolare.
La ragazza, che da sempre ha coltivato il sogno di diventare una cantante pop, è consapevole che il periodo d’oro del genere è tramontato ed è la prima a commentare causticamente che ormai i gruppi di giovanissime idol esistono per soddisfare lo sguardo dei pervertiti, esibendosi in locali underground senza essere nemmeno pagate.
In una delle scene finali, per riconciliarsi con l’amico e dargli il suo saluto prima della partenza, Yuki confeziona uno spettacolo teatrale fondendo una pièce classica – Mabuta no haha, ripreso dal titolo originale giapponese della pellicola – con una performance pop: come ha osservato Mark Schilling, la scena rivela “la potenza trasformatrice del teatro” e consacra la realizzazione artistica di Yuki, che si esibisce sul palco in una performance per la prima volta veramente sentita. Lo stesso Ken, che fino allora non aveva mai provato un vero interesse per il teatro, rimane profondamente colpito dal coinvolgimento dell’amico e i due si riappacificano attraverso un tenero scambio in cui sfumano i confini tra amicizia e un’intimità più profonda.
La scena finale – catartica e conciliatoria – vede la separazione dei due amici con la partenza definitiva della troupe teatrale: Ken e Yuki si lasciano, consapevoli di aver instaurato un’amicizia, un legame che li ha fatti crescere nella direzione dell’accettazione della loro diversità.