Ogni genitore desidera che i suoi figli siano felici, specialmente quando l’età inizia a farsi sentire. Il signor Tatsuo ha molto a cuore sua figlia Haru e, dopo alcuni pettegolezzi dei suoi compaesani e una visita dal medico che gli consiglierà un’operazione per una ostruzione arteriosa, decide di trovare un marito per lei: una decisione però che non solo lo porterà ad affrontare la separazione da Haru, ma anche a mettere in discussione sé stesso e tutte le convinzioni che fino a quel momento lo avevano tenutoprigioniero nel suo piccolo negozio di tofu.
Ogni mattina, poco prima che arrivi l’alba, a Onomichi, nella prefettura di Hiroshima, il signor Tatsuo (Fuji Tatsuya) insieme alla figlia Haru (Aso Kumiko) si sveglia per preparare, con fare da vero artista, il tofu. La calma, la cura e la meticolosità che Tatsuo riversa nella preparazione, nella cottura della soia e nell’estrazione del suo liquido non sono molto diverse dalla calma e dalla cura che il regista, Mihara Mitsuhiro, ha messo nella narrazione della vicenda e nella costruzione delle scene: le inquadrature sono spesso fisse e piuttosto lunghe, le luci degli ambienti sono curate al massimo per rendere una determinata atmosfera.
Il signor Tatsuo vuole con tutto se stesso vedere la figlia, così appassionata e devota al piccolo negozio, felice e sposata, lontana dalla monotonia della produzione di tofu, eppure, in questa sua determinazione a spingerla a vivere la sua vita, si accorge di quanto l’impresa sia difficile. Si rende conto che non può farcela da solo: ha bisogno di qualcuno che lo aiuti nell’audace avventura di trovare un compagno per Haru.
Per quanto anziano, scorbutico e testardo Tatsuo sia, non è di certo solo: è sempre spalleggiato dai suoi compaesani che a volte fanno da supporto, altre volte diventano la sua coscienza, in altre ancora sono semplici amici a cui piace scherzare.
Sono paradossali le scene più concitate, dove tutti discutono o si criticano a vicenda, mentre la camera rimane ferma, come a voler restituire allo spettatore un semplice scorcio della vita di paese.
La storia, quindi, sembrerebbe riguardare la routine dell’anziano e abitudinario Tatsuo e di come lui, con i suoi modi goffi eppure teneri, provi a fare il gesto forse, più coraggioso che un genitore potrebbe mai fare: lasciare andare i propri figli.
La vicenda, però, si ribalta nel momento in cui si inizia a capire che in realtà le scelte del protagonista non si riflettono su Haru, ma su Tatsuo stesso: Haru non solo ha già tutti gli strumenti che le servono per cercare un compagno indipendentemente dai progetti del padre, ma è anche determinata a difendere la libertà di scegliere cosa fare nella e della propria vita. Ed è qui che si capisce che al centro del film in realtà non ci sono i tentativi testardi di Tatsuo per aiutare la figlia, ma il percorso che lo stesso Tatsuo compie, imparando a conoscere il mondo fuori dal suo piccolo negozio di tofu.
Fondamentale in questo ribaltamento di senso e prospettiva è il personaggio della signora Fumie (Kumi Nakamura): alla sua prima apparizione sembra semplicemente una signora anziana molto gentile, mentre poi non solo si rivelerà una figura decisamente forte e resiliente, ma sarà anche colei che aiuterà concretamente Tatsuo ad accettare i cambiamenti e a essere più sincero con sua figlia, e con se stesso.
Profonda compassione suscita la signora Fumie, malinconica e allegra allo stesso tempo. È il personaggio, forse, più colpito dalle avversità della vita: non ha né una famiglia che la aiuti né amici con cui parlare, le colleghe di lavoro la vedono come un peso, sia per la sua età avanzata sia per i suoi problemi di salute (porta un pacemaker), non ha figli e vive da sola. Il suo corpo porta ancora le tracce degli effetti delle radiazioni della bomba atomica che le procurerà la comparsa di un tumore, lo stesso che anni prima aveva colpito anche la madre. Eppure, conserva sempre il sorriso dolce e i modi gentili e rispettosi. Fumie nasconde le sue paure, ma non si arrende mai anche grazie alla semplicità e alla goffaggine del signor Tatsuo, di cui, anche se non si capisce chiaramente, sembrerebbe innamorarsi.
In tutta la durata della pellicola, le vicende si svolgono quasi sempre negli stessi ambienti: le vie sono sempre le stesse, il negozio è sempre fermo lì ad aspettare i clienti, il barbiere sempre il fulcro dei pettegolezzi dei compaesani di Tatsuo, la strada che riporta al negozio è sempre silenziosa e anche la casa dove vivono Haru e il signor Tatsuo è sempre uguale. Gli scorci che compaiono solo una o due volte, invece, come il lungo porto, il bar, il tetto dell’ospedale o la piazzetta del paese, sono quegli ambienti dove il signor Tatsuo si incontra con la signora Fumie e dove si scambiano storie di vita, desideri, paure o battute sulla vecchiaia.
Un altro aspetto che colpisce è l’assenza, se non in pochissime scene, di colonna sonora: solitamente la musica serve a enfatizzare emozioni e sentimenti, ma in molti casi è lo spettatore che deve provare a immedesimarsi nel personaggio, senza l’aiuto di un’atmosfera creata da basi musicali. La semplicità degli ambienti, delle conversazioni e delle scelte registiche sono rese ancora più autentiche e realistiche grazie a questa assenza.
Certamente, potrebbero essere un sostegno in più in determinati scene, ma sicuramente la scelta di usare poche musiche di scena influisce sulla percezione che si ha di certe inquadrature o situazioni: alcune risultano un po’ piatte, statiche, senza delle emozioni “tangibili”. D’altro canto, così è la realtà dei nostri personaggi.