Inu-Oh è un film animato musicale del 2021, diretto da Yuasa Masaaki e prodotto da Science SARU. Presentato per la prima volta alla 78° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e finalmente approdato nelle sale grazie a Double Line e Hikari in questi giorni, si basa sull’opera di Furukawa Hideo Heike monogatari – Inu-ō no maki (2017), dalla quale riprende anche l’ambientazione durante il periodo Muromachi (1336-1573).
Yuasa Masaaki stesso tuttavia ha descritto il film come una favola con molti elementi di contatto con il presente:
Un attore di nome Inu-Oh è esistito davvero seicento anni fa: sconvolse il pubblico dell’epoca ma lasciò poche tracce di sé ai posteri. Affiancandolo al personaggio di Tomona, lo scrittore Furukawa Hideo ne ha riscritto la storia trasformandola nell’avventura di due giovani che sfidano il fato per dare forma al proprio destino. Ma è anche una storia del nostro tempo: rimanere all’interno delle convenzioni e di ciò che è già scritto per raggiungere la gloria, o rinunciare alla fama e vivere secondo i propri principi? Raccontando la loro vita, i due protagonisti danno voce agli sconfitti – la stessa cosa che il film fa per loro, sostenendo chi vive tenendo fede alle proprie idee. […] Ci sono tante storie che non conosciamo, ma attraverso questo film possiamo scoprire la loro.
(Mercedes Milligan, “Trailer: Masaaki Yuasa's Historic Musical Inu-Oh Sets Cast, 2022 Release”, in Animation Magazine, luglio 2021).
Il film riprende personaggi e storie associati a uno dei classici più conosciuti e apprezzati della letteratura giapponese, lo Heike monogatari, che narra gli scontri sanguinosi tra i Minamoto e i Taira durante la guerra Genpei (1180-1185) focalizzandosi soprattutto sugli sconfitti, i Taira. In particolare, l’episodio a cui si fa riferimento durante tutto il film è proprio quello che vede la disfatta di questi ultimi, la battaglia di Dan-no-ura. Nel film il racconto, tramandato oralmente da monaci erranti con l’ausilio del biwa come accompagnamento musicale e poi messo per iscritto e intrecciato con altre storie per formare lo Heike monogatari, si mescola alla finzione laddove circa trecento anni dopo i fatti storici uno dei due protagonisti, Tomona, vive con la sua famiglia vicino al luogo della battaglia e, con l’aiuto del padre, deve trovare un’antica reliquia appartenuta alla famiglia dei Taira e andata perduta in fondo al mare, per conto dell'attuale shōgun, pronto a tutto pur di unificare il paese sotto il proprio potere. Ma la reliquia è una spada così potente che uccide il padre di Tomona e acceca il ragazzo, che comincia a vagare per il paese come biwa hōshi, ovvero monaco itinerante e cantastorie. Nel frattempo, si snoda la storia di Inu-Oh, che a causa delle deformità dalle quali è segnato fin dalla nascita è evitato da tutti, costretto a nascondere il suo volto dietro una maschera, trattato come un animale ed escluso dalla società, perché la sua presenza è considerata un’offesa e un disonore per la sua famiglia, che si è sempre dedicata al perseguimento di bellezza e perfezione attraverso la danza e il teatro nō. Quello che però i suoi genitori non sanno è che Inu-Oh ha un talento naturale per la danza e la performance: a ogni passo il suo corpo si trasforma e le deformità con le quali è nato e delle quali non ha colpa spariscono. Anche qui il film mescola realtà e finzione perché la sua figura si ispira a un interprete e sceneggiatore del teatro sarugaku nō vissuto nel XIV secolo e molto popolare, ma che la storia ha dimenticato quasi del tutto.
Il film è denso e travolgente, e propone una riflessione su temi molto attuali, non solo in Giappone ma nel mondo intero, a partire dal significato dell’arte. L’arte si configura come via privilegiata per dare voce agli emarginati, il luogo in cui tutti possono essere loro stessi ed esprimersi liberamente, alleggeriti del peso di stereotipi, pressioni sociali e aspettative. Inoltre, l’arte permette anche di contrastare l’egemonia e il potere politico e culturale: se infatti il canone è un costrutto forgiato dai membri della classe dominante per ri-narrare e ri-semantizzare la storia culturale di un paese, la sua stessa presenza implica l’esistenza di un contro-canone che rappresenta cambiamento e libertà, che critica tutto ciò che si considera immutabile e che, quindi, non rappresenta davvero la cultura di un paese.
Inu-Oh e Tomona diventano famosi e persone appartenenti a tutte le classi sociali accorrono a vederli, acclamandoli per il loro talento, come fanno al giorno d’oggi i giovani fan con i loro cantanti preferiti, soprattutto nella cultura idol. Affermano non solo in teoria, ma anche in pratica l’esistenza di una forma d’arte, qui musicale, che possa essere pop, cioè piacere al grande pubblico, anche con performance e ritmi accattivanti e piacevoli, senza però perdere il suo valore e continuando a essere uno strumento di espressione profondo.
Un altro elemento che colpisce al primo sguardo è l’ambientazione storica. In effetti, lo Heike monogatari è uno dei classici più amati ancora oggi in Giappone e la scelta di riprendere proprio quest’opera assume particolare rilevanza perché lo Heike segna un cambiamento forte nei canoni di rappresentazione: infatti, mentre la letteratura precedente era concentrata solo sulla vita e sull’orizzonte valoriale dell’aristocrazia di corte, qui si trovano storie e leggende che vedono protagonisti membri di tutti i ceti sociali, anche quelli più poveri ed emarginati. Inoltre, si dà grande rilievo alla componente umana dei personaggi, siano essi protagonisti o antagonisti. Questo si collega chiaramente a un altro tema dello Heike che ritroviamo anche nel film: la celebrazione dell’eroe perdente, figura particolarmente amata nella cultura giapponese, che non celebra gli eroi invincibili, perché non c’è bellezza nella vittoria costante.
Ecco perché lo Heike racconta l’ascesa e la caduta dei Taira (o Heike, appunto), che segna anche il tramonto dell’epoca dei kuge, l’aristocrazia di corte, a favore dell’aristocrazia guerriera dopo molte lotte sanguinose e violente. Questo stimola riflessioni sul potere e sull’esistenza umana in sé, anche perché l’opera è ambientata nel periodo Kamakura (1185-1333), impregnato del pensiero buddista: è l’epoca del mappō, ovvero, l’Ultima Fase della Legge, dove l’umanità non è più in grado di comprendere e seguire correttamente gli insegnamenti buddisti (dharma). Nello Heike risuona il sentore della fine di un’epoca di ricchezza e prosperità, di uno splendore fatalmente destinato ad appannarsi: ecco perché all’idea di mappō, di degrado, è abbinata quella di mujō, l’impermanenza. Domina la sensazione che in un’epoca di decadenza morale e valoriale tutto sia transitorio e qualunque forma di attaccamento sia priva di senso, perché nulla nel mondo dura a lungo, ma tutto cambia e si trasforma. Questi elementi non sono approfonditi in modo critico dal film, ma sono allusi nello sfondo storico e nei comportamenti dei personaggi, soprattutto i due protagonisti, che nonostante il potere centrale cerchi di manipolarli, perseverano nell’affermare le proprie idee e personalità. Inoltre, il perenne mutamento implicito nel mujō è suggerito agli spettatori tramite la figura di Inu-Oh stesso che dopo ogni esibizione ritrova gradualmente la sua forma umana, spezzando la maledizione dalla quale è stato colpito per colpa dell’avidità e dell’egoismo del padre.
È sempre nei personaggi di Inu-Oh e di Tomona che ritroviamo un altro tema essenziale del film: quello queer. Il termine è stato introdotto per la prima volta all’inizio degli anni Novanta con l’obiettivo di rendere possibile rielaborare o reinventare i termini della nostra sessualità, di costruire un altro orizzonte discorsivo, un altro modo di pensare il sessuale (Teresa De Lauretis, “Queer theory. Gay and lesbian sexualities”, in Differences, 1991). Quindi la teoria queer vuole mettere in discussione l’universalità delle categorie identitarie e concentra l’attenzione sulla sessualità in rapporto all’orizzonte normativo di riferimento, cioè, l’eteronormatività, per valorizzare le differenze. Successivamente, il termine queer è stato usato in modo più inclusivo per nominare tutti i soggetti sessuali estranei alle categorie binarie. Legata agli studi queer è la riflessione sulla performatività del genere introdotta da Judith Butler intorno agli anni Novanta del secolo scorso. Con questa espressione si intende sottolineare il fatto che il modo in cui il nostro sesso e genere si esprimono e sono rappresentati nella e dalla società è, di fatto, un costrutto socio-culturale costituito dalla reiterazione di norme imposte e non, come si tende a credere, qualcosa di naturale e spontaneo deciso dal singolo individuo.
Ecco perché, secondo Butler, tutte le identità di genere sono delle vere e proprie performance. Dunque, appare chiaro come la parola queer sia uno strumento teorico potente, non solo espressione di identità di una minoranza, ma che va anche a definire tutto quello che, per un qualche motivo, è in contrasto con il normativo e il legittimo, tutto quello che va oltre i confini e, quindi, spaventa e viene marginalizzato. In effetti, è proprio quello che succede ai due protagonisti e è ancora più significativo il fatto che il doppiatore di Inu-Oh sia Avu-chan che, oltre ad avere una voce dall’ampio registro vocale, è anche il cantante della rock band dei Queen Bee e apertamente non-binary.
Inoltre, nell’ambito queer un ruolo fondamentale è ricoperto dall’abietto inteso nella definizione che ne dà Julia Kristeva nel suo saggio Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione: abietto è qualcosa che provoca disgusto, avversione, ripugnanza, è il non voluto in gruppo, spesso connesso a idee di impurità e contaminazione, è l’elemento di disturbo, che destabilizza il sistema e quindi ne è escluso. In effetti, l’esclusione e la marginalizzazione sono pratiche messe in atto continuamente in tutte le culture, ma sono portate all’estremo dal processo di abiezione, dove l’io normativo è il referente sul quale regolare le posizioni degli altri. Inu-oh in particolare rappresenta l’abietto nella sua identità di genere, fisico-estetica e personale in generale, perché va contro le convenzioni socialmente formate e accettate, quindi suscita paura, repulsione, anche per il suo corpo deforme, ma allo stesso tempo, attrae e incuriosisce per il suo talento e la libertà che ispira.
Un’ultima tematica su cui è interessante soffermarsi è quella del grottesco, legata al tono tra il serio e il comico, talvolta anche nonsense, con accenni psichedelici. A tal proposito, il film si ispira al fenomeno socio-culturale che si diffonde in Giappone tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta, influenzato dal processo di modernizzazione e di urbanizzazione delle grandi città: l’ero guro nansensu. Effettivamente, ero sta per erotico, riferendosi in senso lato alla libertà di espressione sessuale e a tutto ciò che ricade nella sfera erotica, mentre guro è il grottesco, la figura dell’eccesso che richiama l’aberrazione. Nansensu indica il nonsense, cioè l’assurdo, qualcosa che si distanzia dalla realtà o che la vede in modo distorto. Questo fenomeno è difficile da definire e può presentarsi con varie combinazioni dei tre elementi, non sempre presenti in modo omogeneo, ma comunque rappresenta figure e situazioni che in un qualche modo e senza una spiegazione eccedono i limiti. Ecco perché spesso alla base ci sono delle figure ibride che, come Inu-Oh, mettono in discussione lo stesso concetto di umanità e rendono tangibile la sensazione di trovarsi in un mondo che sta cambiando troppo in fretta e del quale si stanno sovvertendo tutte le regole. In più, queste sensazioni generano paure e inquietudini per una trasformazione che non si sa fino a che punto possa spingersi; allo stesso tempo, però, il cambiamento suscita fascinazione, curiosità e attrazione perché porta libertà dalle costrizioni politiche e socio-culturali e stimola il coraggio di essere se stessi, di vivere con maggiore pienezza.
Sotto questo aspetto è importante sottolineare, oltre all’impronta del regista, il lavoro dell’altra figura di spicco della pellicola: lo studio dei personaggiè infatti a opera del mangaka sperimentale Matsumoto Taiyō, autore di opere come Ping Pong, Sunny e Tekkonkinkreet. Anche se il suo lavoro per Inu-Oh fosse su commissione (come per Yuasa, che inizialmente non voleva prendere le redini di questo progetto) alla fine Matsumoto ha trovato diverse affinità con la storia, con la sua poetica del reietto e del non convenzionale, in particolare per come rappresenta le deformità fisiche di Inu-Oh o gli scandalosi outfit sempre più glam rock di Tomona.
Il rapporto fra Yuasa e Matsumoto, già collaboratori ai tempi di Ping Pong: The Animation, riflette come uno specchio quello dei due protagonisti del film: se per la cifra stilistica Yuasa può essere accostato a Tomona e alla sua esperienza sensoriale, con la quale il regista riesce a giocare mescolando eterogenee tecniche di animazione, il lavoro grafico di Matsumoto sembra trovare un perfetto recipiente nel corpo deforme e allo stesso tempo aggraziato di Inu-Oh. Il sodalizio che nasce fra questi due autori così affini e complementari crea una melodia dissonante eppure avvincente.
In conclusione, Inu-Oh è un film di animazione particolare, che sicuramente non punta a compiacere il pubblico di massa, ma che attraverso il character design colorato e curato, la colonna sonora coinvolgente e le animazioni sorprendenti, trasmette messaggi importanti. Come ha sottolineato David Ehrlich in una recensione su IndieWire, non è solo un film sull’importanza di raccontare storie per mantenere vivo il passato, ma è anche la storia di due amici che, con il loro look sempre più androgino e il successo crecsente che riscuotono fra il pubblico di tutte le classi sociali, diventano una minaccia per le fondamenta del patriarcato. Nonostante Yuasa Masaaki abbia sempre mostrato un forte interesse per la rappresentazione di chi si muove ai margini della società, questo aspetto non è mai stato così centrale come in questo film. Il messaggio generale del film è quindi che la libertà di esprimere se stessi è fondamentale e che, nonostante per farlo sia necessario rompere gli schemi, anche rischiando di essere criticati, ostacolati o semplicemente non capiti, è l’unico modo per essere davvero felici.