Yasashisa優しさ, gentilezza. Con questa parola l’attrice Sawako Agawa — che nella pellicola interpreta il ruolo di Nakamura Taeko — definisce il dolce e a tratti amaro film di Matsunaga Daishi, fra i film più attesi della venticinquesima edizione del FEFF.
In effetti, durante tutta la prima parte di Egoist, i personaggi sembrano tributare alla bontà d’animo ogni loro pensiero, gesto e azione. In questo modo, forse, è possibile comprendere lo spiazzamento dello spettatore di fronte a un titolo così evocativo, che ben poco sembra avere a che vedere con l’altruismo e la gentilezza.
Tuttavia, è proprio in questa contraddizione che Matsunaga vuole inquadrare l’umanità dei suoi personaggi, attraverso una scrittura dai toni morbidi e avvolgenti. Egoist è una storia intima, che traduce in immagini i complessi moti interiori dei due indimenticabili protagonisti: l’affascinante e talentuoso Kōsuke, interpretato dalla stella del dorama Ryohei Suzuki, e il giovane Ryūta (Miyazawa Hio).
Senza dubbio, buona parte della loro caratterizzazione si deve alla sensibilità con cui Takayama Makoto li ha rappresentati nell’omonimo romanzo del 2010, dal quale è tratto questo adattamento cinematografico. Eppure, lo sguardo di Matsunaga, nella sua sincerità e spontaneità, riesce ad essere unico nel suo genere. Infatti, con Egoist il regista torna sulle tematiche LBGTQ+ che costituiscono il file rouge della sua produzione, fin dal debutto come regista con il film documentario Pyuupiru (2011), che segue le vicende dell’omonimo artista transgender.
La primissima scena di Egoist si apre tra i flash accecanti del set fotografico sul quale Kōsuke lavora come redattore per una rivista di moda. Un mondo per definizione frivolo e frenetico, che non sembra avere niente in comune con la gentilezza. Eppure, Kōsuke mostra fin dalle prime battute una personalità matura e profonda, eppure composta, in qualche modo irrigidita da un’attenzione quasi maniacale per il dettaglio e il controllo del proprio quotidiano.
La quieta ordinarietà della sua esistenza viene stravolta dall’incontro con il nuovo personal trainer, il giovane Ryūta, con il quale inizia a scoprire un sentimento amoroso travolgente. Seguono alcune scene di sesso che lasciano poco spazio all’immaginazione, tanto che in Giappone la visione del film è stata vietata ai minori di 15 anni.
Rappresentare il sesso senza censure, lontano dalle pudiche e bianche lenzuola, appare una scelta estremamente efficace nella caratterizzazione dei due protagonisti queer, ai quali Matsunaga sembra voler restituire un’autenticità che, per troppo tempo, è stata caricaturata e sepolta sotto forme inverosimili e a tratti offensive.
Nella parte centrale del film, il rapporto tra Ryūta e Kōsuke si evolve rapidamente, e tra i due si instaura una connessione che nell’intesa reciproca e nella passione trova un’espressione spontanea, uno sfogo naturale. Naturalità e spontaneità: chi guarda il film ha proprio la sensazione di osservare la vita reale, una sorta di documentario su una storia plausibile e non un’opera di finzione.
In questo modo gli incontri con gli amici di Kōsuke diventano degli spaccati di vita reale, in cui lo spettatore queer (e non) riesce facilmente a immedesimarsi. L’effetto documentaristico è amplificato dalle riprese degli ambienti in un solo piano sequenza, che definiscono diversi spazi fisici ben delimitati tra di loro: il ricco appartamento di Kōsuke, la palestra e l’umile casa di Taeko e Ryūta.
E in spazi fisici diversi i personaggi mostrano atteggiamenti diversi. Lo stesso Matsunaga ci racconta come il modo di parlare cambia a seconda della persona che si ha di fronte. Kōsuke a volte si trova col padre, altre volte con gli amici, il fidanzato, la madre del suo innamorato, oppure ha a che fare coi colleghi. In ognuna di queste occasioni, il suo modo di parlare cambia, come accade a chiunque di noi nel mondo reale.
Non mancano colpi di scena e rivelazioni struggenti. Quando il rapporto tra i due ragazzi sembra volgere verso uno sviluppo più profondo, Ryūta confessa di fare un secondo lavoro che gli permette di pagare le spese mediche della madre Taeko, da tempo malata. Un lavoro la cui natura avrebbe mandato in frantumi la relazione.
Pur di non perderlo, Kōsuke si offre di mantenerlo e di occuparsi della madre, con la quale instaura un rapporto ambivalente. In questo desiderio di protezione e nella sua controparte, ovvero nel timore di perdere per sempre il suo amore, si comincia a comprendere la relazione tra gentilezza ed egoismo. In particolare, il regista dissemina abilmente il film di brevi scene retrospettive sul passato, componendo un quadro tragico che riesce a spiegare con sottili rimandi il comportamento gentile dei personaggi.
Lo spettatore vive in questo modo il profondo e acuto dolore di Kōsuke a seguito della tragica scomparsa della madre quando lui aveva solo quattordici anni. Un trauma che riemerge amplificato, e viene cantato dallo stesso Kōsuke attraverso le parole della amara canzone di Chiaki Noemi Yoru e isogu hito 「夜へ急ぐ人」:
yūki de owaru koi mo arya
勇気で終わる恋もありゃ
ci sono amori che finiscono con coraggio
okubyō de hajimaru koi mo aru
臆病で始まる恋もある
ci sono amori che iniziano per paura
Tra le dolci note delle musiche di Sebu Hiroko e la spensieratezza dei balli di vogueing tra amici, si svolge così un dramma sentimentale che colpisce direttamente il cuore dello spettatore, che non può far altro che vivere coi personaggi lo stesso trauma e la stessa travolgente passione. Infine, la tematica LGBTQ+ diventa solo uno spunto iniziale, poiché al centro dell’obiettivo di Matsunaga si collocano l’umanità del personaggio e la sua storia personale.
Egoist è senza dubbio una delle grandi sorprese di questo FEFF25.