Ghost in the Shell, Expelled from Paradise, Ergo Proxy e Psycho-pass sono quattro opere che, dipingendo futuri distopici, aiutano a comprendere paure e preoccupazioni nate dal processo di digitalizzazione della società giapponese contemporanea e a riflettere su quanto gli scenari da esse immaginati siano già realtà.
In Giappone sono numerose le opere che includono la tecnologia e le ansie da essa derivate nel genere distopico sin dalla sua nascita: storie come Kappa (1927) di Akutagawa Ryūnosuke o La donna di sabbia (1962) di Abe Kōbō sono tra le prime a dare voce alle inquietudini e al senso di smarrimento dell’uomo moderno che, dall’era Meiji (1868-1912) in poi, si è dovuto confrontare con una modernizzazione rapida e impersonale e con il conseguente senso di sradicamento e allontanamento da quella che era considerata la cultura tradizionale.
Nella società odierna, in cui l’utilizzo di nuove tecnologie di informazione e comunicazione e di programmi digitali è all’ordine del giorno, a queste ansie si aggiungono paure determinate da una temuta eccessiva digitalizzazione della vita quotidiana. Un processo che sembra diventare sempre più reale, anche considerando la direzione presa dal governo giapponese: basta pensare alla neonata Agenzia Digitale, che punta a trasformare il Giappone in una “società digitale che non lascia indietro nessuno”.
Quali di questi timori e di queste paure legati alla digitalizzazione sono espresse nelle distopie giapponesi più famose? E soprattutto, quanti di questi mondi immaginati sono ormai già realtà?
E se in realtà io fossi già morta da tempo e l’attuale me stessa avesse una personalità simulata composta da un cyber-brain e un corpo artificiale? […] e se per caso il mio io non fosse mai esistito fin dall’inizio? […] e se un cyber-brain potesse produrre un ghost e fosse in grado di introdurvi il soffio dell’anima? In questo caso sulla base di cosa potremmo fidarci di noi stessi?
Kusanagi, Ghost in the shell (1995)
Impossibile non menzionare a questo proposito Ghost in the Shell (1995) di Mamoru Oshii, basato sull’omonimo manga di Masamune Shirow, serializzato tra il 1989 e il 1991. Questo film, nonostante non sia così recente, vanta un recente remake del 2017 e rimane un solido punto di riferimento del genere distopico cyberpunk: ambientato nel XXI secolo, descrive una società altamente digitalizzata in cui gli esseri umani hanno potenziato notevolmente le capacità sia del loro corpo, trasformandosi di fatto in cyborg, sia della loro mente, grazie al cyber-brain – un cervello dotato di micro-impianti che consentono di essere sempre connessi alla rete, di analizzare dati e scambiare informazioni istantaneamente.
L’unica cosa rimasta a distinguere gli esseri umani dalle macchine dotate di intelligenza artificiale è il ghost, qualcosa che potremmo equiparare al concetto di anima o di coscienza di sé. Ghost in the Shell indaga, dunque, una delle più grandi ansie derivate dallo sviluppo tecnologico, ovvero il rischio che il confine tra uomo e macchina si perda e con esso anche l’umanità stessa.
La protagonista Motoko Kusanagi, anch’essa un cyborg, esprime apertamente questa inquietudine mettendo la sua stessa esistenza in discussione e sottolineando gli svantaggi della sua condizione: la dipendenza dalla manutenzione del corpo meccanico; il confinamento della propria individualità, legata al ghost e a pochi altri tratti, prima tra tutti la memoria; i rischi di hackeraggio del cyber-brain, il furto o l’alterazione di informazioni e ricordi o la duplicazione del ghost.
Purtroppo, i suoi timori si avverano nel finale dell’opera: a seguito della fusione con una “forma di vita” completamente digitale – tale è l’antagonista della storia, noto come il Burattinaio – Kusanagi perde la sua identità per crearne una nuova e più evoluta. È dunque forte la critica verso le innovazioni tecnologiche che rischiano di occultare la distinzione tra umano e non umano, lasciando l’uomo incapace di definire sé stesso e di fidarsi della sua stessa autocoscienza.
Al DEVA, potrai espandere infinitamente il potenziale della tua mente ed ottenere enormi risultati, è questo quello che dicono. […] è una bugia. La quantità di memoria di ognuno è definita e controllata. Anche se il potenziale è illimitato, la reale potenza di fatto invece lo è. […] La vita al DEVA dipende da quanta memoria puoi ottenere. […] Tutto quello che hai è controllato dalla società. Devi sempre scendere a patti con essa. Non riuscire a guadagnare l’approvazione può essere fatale. Che razza di libertà sarebbe? Potrete anche esservi liberati dai vincoli di un corpo fisico, ma non vi siete forse cacciati in una prigionia ancora più complicata?
– Dingo, Rakuen Tsuihō: Expelled from Paradise (2014)
Altri film, più recenti, provano come questa paura sia tutt’altro che svanita. Rakuen Tsuihō: Expelled from Paradise (2014), scritto da Urobuchi Gen e diretto da Mizushima Seiji, mette in scena un futuro nel quale la maggior parte dell’umanità ha abbandonato la Terra e il proprio corpo fisico, diventando forme di vita completamente digitali e trasferendosi nel cyberspazio, chiamato DEVA. Il DEVA contiene tutte le informazioni e memorie sulla civiltà umana e provvede a distribuirle ai cittadini, in base alle loro capacità e al loro contributo all’interno del sistema, così che possano usarle per ricreare intere ambientazioni simil-terrestri in cui vivere o potenziare infinitamente le loro percezioni.
Tuttavia, chi non adempie al suo ruolo nel DEVA e non si integra, non solo non riceve informazioni per poter condurre una vita agiata, ma rischia di essere eliminato completamente. Paradossalmente, i cittadini credono di essersi evoluti liberandosi dei limiti del corpo umano, ma in realtà si sono messi in trappola da soli in una società che li giudica costantemente per il loro operato e che ha il potere di decidere della loro vita.
Anche in questo film il confine tra uomo e intelligenza artificiale è sfumato tanto che la protagonista Angela, agente della sicurezza nel DEVA in missione sulla Terra al fianco dell’investigatore Dingo, finisce per dubitare della sua stessa umanità dopo l’incontro con l’antagonista Frontier Setter, un personaggio molto simile al Burattinaio di Ghost in the Shell. Frontier Setter è infatti un’intelligenza artificiale dotata di autocoscienza, che può facilmente essere scambiata per umana grazie al suo modo di percepire e di comunicare estremamente naturale.
L’avventura di Angela la porterà a scoprire la stanchezza, la fame e la malattia, a imparare cosa significa essere umani e condurre una vita affidata al caso e al libero arbitrio invece che a un sistema digitale. Al contrario di quanto accade in Ghost in the Shell, dove i cyborg tentano di preservare il proprio ghost e la propria umanità ad ogni costo, il viaggio della protagonista di Rakuen Tsuihō: Expelled from Paradise rappresenta la riscoperta dell’umanità in una società dalla quale era già da tempo scomparsa.
Un altro timore, molto sentito e già presente in parte nelle due opere sopra citate, riguarda sicuramente le potenzialità di controllo e sorveglianza degli individui e di manipolazione delle informazioni che i sistemi digitali possiedono. Anche in questo caso non mancano serie che esplorano l’estremizzazione di queste ansie e di questi abusi della tecnologia.
Ergo Proxy (エルゴプラクシー Erugo Purakushī) è una serie anime del 2006 diretta da Shukō Murase e prodotta da Manglobe. La storia è ambientata in una città cupola, detta Romdo, separata dall’esterno, ormai invivibile. Qui, gli umani convivono con robot, detti AutoReiv che vengono sfruttati come assistenti di diverso genere. Le entità che governano questa comunità operano una sorveglianza sistematica – simile al Grande Fratello di Orwell – sui cittadini proprio tramite i robot. Ma il controllo va ben oltre la vita quotidiana e le comunicazioni: i cittadini di Romdo sono generati da un utero artificiale a partire da informazioni preordinate così che possano diventare ingranaggi perfetti della società. La conseguenza di tale sistema è una profonda ansia nei confronti degli AutoReiv e una capillare omologazione di tutti i cittadini, la cui individualità punta ad essere annullata. A riprova di questo, molti abitanti sono anche sottoposti a un programma di controllo delle emozioni: esse sono percepite come negative e fuorvianti per gli individui, quindi tendono ad essere inibite; lo stesso vale per i robot che generano un’autocoscienza a causa del virus Cogito – dal cui mistero inizia la storia – e che di conseguenza iniziano a disubbidire agli uomini. In questo contesto altamente controllato è naturale che la divulgazione di informazioni non sia trasparente: infatti, sono molte le informazioni occultate alla protagonista, così come a tutta la popolazione, riguardo la reale natura del Proxy, descritto come un mostro a cui il governo dà la caccia, o la possibilità per le persone di tornare a vivere al di fuori di questo sistema prestabilito.
E sentiamo, in base a cosa tu puoi definirmi un criminale? È il Dominator che hai in mano? è quell’arma che risponde soltanto al Sybil System a stabilirlo? […] Il genio scientifico ha finalmente messo a nudo i segreti della mente umana, determinando il brusco cambiamento di questa società. Tuttavia, nel giudizio del Sybil non è contemplata la volontà individuale. Perciò mi chiedo: con che criteri potrete distinguere davvero il bene dal male?
– Makishima, Psycho-pass
Il controllo sistematico descritto nella società di Ergo Proxy è impiegato similmente anche nell’anime Psycho-Pass (サイコパス Saikopasu) del 2012 scritto anch’esso da Gen Urobuchi e prodotto da Production I.G. Ambientato nel XXII secolo a Tōkyō, questa serie presenta una società in cui lo stato mentale, la personalità e le inclinazioni delle persone possono essere misurate con precisione e registrate attraverso il sistema detto Sybil. È questo sistema a guidare la vita degli individui e a indirizzarli verso la carriera più adatta a ciascuno basandosi sui risultati di tali misurazioni, limitando margini di errore e aumentando notevolmente l’efficienza e la sicurezza della società nel suo complesso. Oltre a ciò, il Sybil permette di conoscere la probabilità che una persona commetta un crimine, indicata dal “coefficiente di criminalità” detto anche Psycho-pass. I criminali sono facilmente individuabili grazie a scanner che misurano costantemente lo stato mentale delle persone poste in luoghi pubblici, di lavoro o semplicemente per strada. È poi compito della Pubblica Sicurezza stanare quegli individui il cui livello dello Psycho-pass è troppo alto, e colpirli con speciali armi, dette Dominator, che eseguono funzioni diverse a seconda del coefficiente dell’individuo nel mirino: dall’elettrificazione e immobilizzazione, alla morte nel caso in cui il livello di criminalità superi una soglia troppo elevata.
I sistemi digitali mostrati in Psycho-pass hanno delle implicazioni giuridiche importanti. In una società in cui anche il confine tra giusto e sbagliato è definito da un sistema digitale, esso ha il potere di eliminare ogni individuo che non rientra nella sua definizione di giustizia. Esemplare è il caso dagli Esecutori: essi sono considerati criminali latenti e sono sfruttati per catturare altri malviventi ma tra questi, alcuni sono ex-ispettori di polizia etichettati come criminali solo dopo che hanno iniziato a dubitare del Sybil System.
Per di più, non bisogna dimenticare che il sistema in quanto digitale può sempre registrare un margine di errore. E cosa accadrebbe se il sistema sbagliasse? A quel punto l’uomo, abituato ad affidare completamente il suo giudizio e la sua vita a tale sistema, sarebbe in grado di distinguere bene e male autonomamente e di agire secondo la propria volontà? In effetti, nella serie, il Sybil ha dei punti ciechi: esistono individui di cui non riesce a calcolare il coefficiente di criminalità e sussistono strumenti in grado di eludere le sue misurazioni. Prevedibilmente tutto ciò ha conseguenze nefaste in una società che dipende dalla sua esattezza e precisione.
Se il terrore di perdere la propria umanità e individualità rappresentato in Ghost in the Shell e Expelled from Paradise può ancora considerarsi lontano, è bene notare che le paure espresse sia in Ergo Proxy che in Psycho-pass trovano invece un fondo di verità nella contemporaneità giapponese. Dalla sorveglianza operata dal governo alla dinamica di passiva accettazione della popolazione, alla raccolta e alla manipolazione di informazioni sensibili, gli esempi a riguardo sono numerosi.
Uno di questi riguarda il campionato mondiale di calcio FIFA 2002 tenutosi in Corea del Sud e in Giappone. In occasione di questo evento, con il pretesto di controllare i numerosi ingressi nel paese – ricordando che si tratta del periodo post 11 settembre 2001 – il governo ha aumentato notevolmente il controllo per le strade e nei luoghi pubblici tramite l’uso di telecamere e altri sistemi digitali. Tra questi, anche sistemi di sorveglianza biometrici in grado di scannerizzare volti umani e identificare persone ricercate. Nonostante l’utilizzo di questi apparecchi non fosse stato inizialmente reso pubblico, una volta venuto alla luce non si sono registrate forti critiche da parte dell’opinione pubblica proprio in virtù del fatto che essi sono stati implementati per proteggere la sicurezza nazionale. Questo esempio, seppur semplicistico, può chiaramente essere connesso alle opere sopra citate: sia il Sybil che gli AutoReiv – il cui utilizzo è ben noto a differenza della realtà -sono generalmente accettati perché garantiscono sicurezza e stabilità.
Analogamente, il cosiddetto N-System, un sistema di tracciamento dei veicoli, formalmente finalizzato al rintracciamento di veicoli rubati, può ed è già stato usato per monitorare i movimenti dei cittadini: è grazie all’N-System che la polizia è riuscita a rintracciare alcuni sospettati criminali appartenenti all’organizzazione Aum Shinrikyō, considerata colpevole dell’attentato alla metropolitana di Tōkyō del 1995. Anche in questo caso però, dopo aver scoperto le capacità di sorveglianza di questo sistema, i cittadini non si sono opposti perché ritenevano più impellente la preservazione della sicurezza e la cattura dell’Aum Shinrikyō.
Anche per quanto riguarda l’acquisizione di maggiori informazioni sui cittadini, il governo giapponese sembra aver abbracciato pienamente l’opzione digitale, come prova uno dei principali progetti della sopra citata Agenzia Digitale: il My Number. Si tratta di un codice a 12 cifre che identifica ogni cittadino e che è associato ai suoi dati (nome, data di nascita, sesso, indirizzo), molto simile al codice fiscale. Lo scopo principale del progetto è di digitalizzare e semplificare la maggior parte dei processi burocratici e amministrativi, prima estremamente lenti e complessi, incorporando tutti i dati registrati nei diversi organi amministrativi in un’unica carta, detta My Number Card. Oltre all’ambizione di coprire l’intera popolazione entro la fine del 2022, l’agenzia incoraggia gli utenti a registrare dati, quali il conto bancario, i dati della vaccinazione Covid-19 e l’assicurazione sanitaria, promuovendo i vantaggi che ne derivano. Così facendo, la carta potrebbe facilmente diventare giustificazione per discriminazioni e differenze sociali: ad esempio, in tempi di pandemia solo chi possiede la My Number Card può ottenere il certificato vaccinale e di conseguenza viaggiare liberamente all’estero. E cosa accadrebbe se per mantenere i benefici e la comodità della My Number Card si fosse spinti a condividere sempre più dati?
Come spesso tentano di mettere in guardia le opere distopiche, il rischio di abuso nell’utilizzo di informazioni private è più che reale: lo dimostrano alcuni scandali politici come quello che ha coinvolto il Ministero della Difesa nel 2002, nel quale un ufficiale ha compilato un file con i dati dei cittadini che hanno richiesto informazioni riguardo l’attività del ministero e lo ha caricato sulla rete locale condividendo i dati privati con altri impiegati senza il permesso degli interessati. Inizialmente giustificato come errore individuale, si è scoperto in seguito che il ministero svolgeva questo tipo di attività come prassi per proteggere le informazioni sulle proprie attività. Questo scandalo ha rappresentato un duro colpo per la reputazione dell’amministrazione pubblica ma dimostra chiaramente quanto sia semplice per gli organi governativi raccogliere e abusare delle informazioni sensibili dei cittadini.
In conclusione, considerando la forte spinta alla digitalizzazione che si sta attuando nel Giappone contemporaneo, dalla sorveglianza “trasparente” all’Agenzia Digitale e il My Number, non risulta così sorprendente che molte produzioni distopiche esacerbino i timori da essa derivati, che sia la paura di perdere la propria umanità, l’ansia di essere controllati o la disinformazione guidata dalle istituzioni governative. Le opere di questo genere assumono grande rilevanza in quanto aiutano a riflettere sia sul futuro in cui sono ambientate – indipendentemente dalla possibilità che questo si realizzi – che sul presente, a conoscere e a essere critici verso la società in cui viviamo oggi. Dunque, anche se le opere analizzate in questo articolo rappresentano solo pochi esempi nel vasto panorama distopico giapponese, adempiono comunque alla loro funzione: mostrarci il potenziale lato oscuro di una digitalizzazione a cui non ci si può sottrarre.
FONTI:
Sito ufficiale dell’Agenzia Digitale
Abe, K. 2004, ‘Everyday policing in Japan: Surveillance, media, government and public opinion’. International Sociology, vol. 19, no. 2, pp. 215–31.