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Nella profondità di Okinawa: Gocce d’acqua e altri racconti

1 Febbraio 2022
Valeria D’Angelo

 


Atmosphere libri ci regala la prima traduzione italiana di un autore originario di Okinawa: Gocce d’acqua e altri racconti di Medoruma Shun, tradotto da Giuseppe Pappalardo e pubblicato nell’agosto del 2021. Un testo capace di trasportare il lettore nella natura rigogliosa e nell’apparente serenità dell’isola che, tuttavia, cela dolore e rimpianto.

La raccolta presenta tre racconti tra i più conosciuti dell’autore: il primo, menzionato nel titolo della raccolta e vincitore del premio Akutagawa nel 1997, è seguito da Mabuigumi – alla ricerca dell’anima perduta (1998) e da Il suono del vento (1997). Tutti vedono come protagonisti degli anziani residenti di Okinawa che, posti di fronte a un evento soprannaturale, sono costretti a fare i conti con le memorie di guerra a lungo represse.

Tokushō si svegliò al suono delle risate e alla sensazione del suo alluce risucchiato. I soldati erano già al terzo giro. Quando si rese conto che questi erano gli stessi uomini che aveva lasciato nella caverna, ebbe il timore che avrebbero potuto ucciderlo. Tuttavia divenne presto evidente che non aveva nulla da temere. Pensò che alleviare la sete dei soldati fosse l’unico modo per espiare le sue colpe e, per quanto trovasse la cosa assai ripugnante, gli provocava una sensazione di gioia. (Gocce d’acqua, p.30)

Nel primo racconto il signor Tokushō rimane improvvisamente paralizzato, con una gamba gonfia mentre dal suo alluce fuoriesce dell’acqua. Da quel momento, ogni notte le anime di alcuni soldati, tra cui un caro amico morto in guerra, giungono per berla. A causa dello strano incontro, Tokushō ricorda l’esperienza bellica e l’opprimente senso di colpa verso i compagni, che ha disperatamente cercato di annegare nell’alcool per anni.

Nella seconda storia la signora Uta tenta invano di riportare l’anima perduta – detta mabui – nel corpo di Kōtarō, figlio di un’amica rimasta vittima del conflitto troppo presto, e di liberarlo da un paguro gigante che si è impossessato del suo corpo. Così, anche lei è forzata a confrontarsi con il rimpianto per la propria impotenza e con l’insopportabile solitudine che caratterizza i sopravvissuti.

Nell’ultimo racconto invece l’anziano Seikichi, per evitare che un suo peccato del passato venga alla luce, tenta di proteggere l’identità del teschio piangente – conosciuto come unkami – del cimitero del vento dalla curiosità del giornalista Fujii, attirato dalle voci sul peculiare lamento emesso dal manufatto quando è colpito dal vento. La vicenda porta entrambi a ricordare la storia che li lega al soldato a cui il teschio apparteneva.

Gli occhi dei suoi compagni, rossi e gonfi dalla mancanza di sonno e dall’odio profondo, lo avevano fissato mentre lo portavano sulla barella. Si era sempre esposto di fronte a quegli occhi e aveva continuato a cercare testimonianze sugli agenti delle Forze Speciali per trasmettere ciò che, loro stessi incapaci di raccontare, vi era stato nei loro petti. Come sopravvissuto per mano di Kanō, da una parte credeva che fosse suo dovere chiarire il modo e il senso della vita e della morte di coloro che se n’erano andati. Dall’altra, era giunto a pensare che doveva continuare a creare testimonianze per espiare per sempre la colpa di aver tradito i suoi compagni ed essere sopravvissuto. (Il suono del vento, p.156)

L’autore riesce abilmente a trasmettere il dolore in modo realistico mostrando i personaggi reagire in maniera diversa al trauma: alcuni hanno tentato di dimenticare le proprie colpe e reprimerle come Tokushō, altri hanno provato a espiare i propri peccati come Uta che, colpevole di non aver soccorso l’amica, si è impegnata a crescerne il figlioletto rimasto orfano. Attraverso i ricordi dei personaggi, che affiorano prima solo gradualmente e poi colpiscono con immensa forza verso il finale, è espressa tutta la sofferenza per la perdita dei propri cari, la solitudine, il rimpianto per le azioni commesse, il disperato bisogno di redenzione per riscattarsi e andare finalmente avanti.


Pietra Angolare della Pace, monumento in memoria ai caduti nella battaglia di Okinawa, presso il Parco seminazionale di Okinawa Senseki

Ma non è certamente un caso che l’autore sia in grado di esprimersi in tal modo sul tema, infatti, esso è caro a lui come all’intera popolazione dell’isola: Okinawa è stata teatro dell’omonima battaglia svoltasi tra il 1 aprile e il 23 giugno 1945, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’unica combattuta sul suolo giapponese e anche una delle più sanguinose del conflitto, a seguito della quale molti degli abitanti di Okinawa furono spinti dall’esercito giapponese al suicidio per sfuggire ai “barbari”. Medoruma, dunque, ha appreso dai familiari le esperienze di guerra e le ha successivamente rese un tema centrale nella sua produzione.

Altro elemento sicuramente affascinate è il contesto ambientale e culturale dei racconti: la splendida natura di Okinawa e il suo folklore ricoprono un ruolo significativo e simbolico, dimostrato dal ricorrente uso di termini locali – volontariamente non tradotti – come l’albero del gajimaru e lo hamasūki; lo awamori, bevanda alcolica tipica delle isole Ryūkyū; il sanshin, strumento tradizionale a corde; il mabuigumi, ovvero il rituale che Uta celebra; oppure il gusō descritto come l’aldilà o ancora lo utaki, luogo sacro di ogni villaggio dove dimorano le divinità protettrici della comunità.

“Avrà perso di nuovo il suo mabui” rifletté. Da bambino, Kōtarō perdeva spesso la sua anima, probabilmente a causa della morte dei genitori avvenuta quando era ancora un neonato. Veniva sopraffatto dalla paura per ogni minima cosa e questo lo lasciava senza forza. Circa cinque o sei volte l’anno l’anima fuggiva via dal suo corpo. Capitava quando cadeva da un albero o quando stava per annegare in mare. In quei casi Kamadā e Uta eseguivano un mabuigumi per riportare lo spirito nel suo corpo. (Mabuigumi – alla ricerca dell’anima perduta, p.61)

Lo stretto intreccio con la spiritualità è ulteriormente sottolineato proprio dalla reazione agli eventi soprannaturali di cui si parla nei racconti. Questi fenomeni, anche se parrebbero anormali agli occhi di chiunque, sono facilmente spiegabili per gli abitanti dell’isola per via delle credenze locali, come nel caso della perdita dell’anima di Kōtarō. 

«Seikichi, stavolta manderanno in onda un programma in tutto il Paese. Cioè in tutto il Giappone. Sarà una buona pubblicità per il villaggio» […] «Siamo troppo lontani da Naha, finora i turisti non sono venuti fino a qua, ma se lo manderanno in onda in tutto il Paese di sicuro ne verranno molti da tutte le prefetture del Giappone. Pensando al futuro del villaggio, sarà impossibile sostenersi solo con l’agricoltura, dobbiamo metterci sotto anche con il turismo. Perciò questa trasmissione è particolarmente importante» […] «Cosa intendete per il “bene del villaggio”? Pensate solo a usare le ossa dei morti in guerra per guadagnarci». (Il suono del vento, p.123)

Nell’opera, inoltre, non manca una forte critica riguardo la mercificazione dell’esperienza di guerra. Il tema è presente in tutti i racconti: in Gocce d’acqua scopriamo che prima di reprimere le sue memorie, Tokushō visitava le scuole o accettava interviste da parte di emittenti televisive, guadagnando denaro per raccontare il conflitto. In modo simile ne Il suono del vento la comunità a cui appartiene Seikichi accoglie volentieri i giornalisti giunti per documentare il misterioso teschio, perché la storia attirerebbe turisti. Medoruma condanna quindi l’uso a fini puramente materiali di queste memorie preziose, spiegandoci allo stesso tempo il contesto economico dell’isola. Infatti, Okinawa negli anni Novanta ha tentato di avviare lo sviluppo turistico e questo appare evidente nella volontà degli abitanti di sfruttare questi fenomeni inusuali a proprio favore.


Locandina del film Fuon – The Crying Wind diretto da Yoichi Higashi e scritto da Medoruma Shun

La raccolta Gocce d’acqua e altri racconti, nonostante la brevità dei racconti, riesce ad avere un impatto molto forte perché non solo fa riflettere sul ricordo delle persone cadute e sull’importanza dell’eredità di guerra, ma anche su cosa significhi sopravvivere a una simile esperienza, dover continuamente fare i conti con i sensi di colpa e nel frattempo cercare di riguadagnare la propria normalità, per quanto sembri impossibile. E fa tutto questo immergendo il lettore nel paradiso naturale, ricco di spiritualità e tradizione, di Okinawa, dimostrando tutta l’incredibile varietà del panorama letterario giapponese.

 

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