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La Tokyo nascosta degli anni ’60: Il funerale delle rose di Matsumoto Toshio

25 Giugno 2021
Emma Frescura

Un faro puntato sulle sottoculture gay della capitale giapponese in un’epoca in cui nemmeno il cinema più sperimentale osava tanto.

Distribuito in Giappone nel 1969 dalla casa di produzione Art Theatre Guild e al momento disponibile in streaming su Mubi, Il funerale delle rose è considerato il capolavoro pop-art di Matsumoto Toshio. Ambientato e girato a Tokyo, è un film che sfugge alle classiche categorizzazioni, presentando, come i suoi simili in stile new wave, una combinazione caleidoscopica di generi cinematografici: una trama basata sulla tragedia greca Edipo Re, brevi sketch comici ispirati alla commedia slapstick, elementi visivi horror e intervalli meta-cinematografici si alternano in un vortice volto a disorientare lo spettatore dandogli un assaggio dell’immaginario allucinogeno della Tokyo underground di quel decennio. Inserendosi in un momento storico di completa innovazione cinematografica e sociale, l’opera di Matsumoto Toshio è in grado di distinguersi per il modo radicale di affrontare un argomento all’epoca ancora delicato come l’omosessualità, senza mezzi termini o vaghe allusioni simboliche.

È quindi la comunità gay e transgender a essere messa in primo piano in questo film, una comunità che in quegli anni si presentava come una nebulosa non ben delineata in cui le categorizzazioni moderne erano assenti e le identità gay, transessuale e non-binaria non presentavano confini ben distinti. Nella pellicola, infatti, si fa un uso intercambiabile di termini quali gay, “travestito”, donna… per indicare lo stesso gruppo di persone. Si tratta di una confusione talvolta condivisa dagli stessi soggetti che usano i vari termini senza distinzione particolare per indicare un’identità di cui solo loro possono essere pienamente consapevoli e per la quale forse ancora non c’è una definizione completa.

Il film si apre con una scena d’amore tra la protagonista, Eddie, e Gonda, il proprietario del locale per gay e “travestiti” presso il quale lavora, il Bar Genet. Un atto apparentemente innocente che si rivela presto il catalizzatore della tragedia. L’uomo, infatti, è anche il compagno di Leda, la madame del locale, che ben presto scopre i due amanti. Ha inizio così la rivalità tra le due hostess, una rivalità sia romantica sia professionale, in quanto Leda non teme solo di essere sostituita come amante, ma anche di essere rimpiazzata nel ruolo di ape regina del Bar Genet. Sono sospetti fondati: Gonda, infatti, non la sta solo tradendo, ma sta pianificando di sostituirla anche al locale. Il conflitto tra le due raggiunge il culmine con una sequenza girata á la Warhol, in cui si rivolgono insulti e vengono alle mani fino a ricreare una sorta di incontro di wrestling.

È, tuttavia, il passato di Eddie l’aspetto più interessante de Il funerale delle rose. La sua storia emerge gradualmente, mediante flashback confusi che rivelano il suo tragico trascorso e il cuore inquietante del film, andando di pari passo con la perdita della sua sanità mentale. Queste scene enigmatiche, riunite alla fine in una sequenza di eventi completa e chiara, mostrano il difficile rapporto di Eddie con la madre che la picchiava e derideva per la sua omosessualità e il suo non essere conforme al binarismo di genere. Il padre, invece, è apparentemente presente solo in una foto in cui il suo volto è stato bruciato da una sigaretta, una foto che sarà anche la causa del finale tragico ripreso dell’Edipo Re.

Stilisticamente Il funerale delle rose si presenta come un collage di diversi generi cinematografici sperimentali: interamente girato in bianco e nero accosta elementi del cinema verità, aspetti documentaristici e uno stile evocativo della nouvelle vague. Assume alcuni tratti del cinema di Jean-Luc Godard, ma, a differenza della new wave europea, l’opera di Matsumoto è impudentemente gay. Il regista non teme censure o critiche nel mettere al centro la cultura omosessuale degli anni ’60, mostrandone gli aspetti più espliciti e utilizzando un cast proveniente da quella scena underground, attori che si prestano a brevi interviste inserite nel film come intervalli meta-filmici con domande dirette come: “perché ti piacciono gli uomini?” o “hai sempre voluto essere una donna?”. Il funerale delle rose si presenta, quindi, come una rinfrescante deviazione dall’eteronormatività della new wave che, per quanto sperimentale, ha sempre evitato chiari riferimenti all’omosessualità.

Matsumoto si allontana ulteriormente dai suo influenti predecessori europei cercando d’indagare, attraverso le contrapposizioni di montaggio, gli aspetti performativi di questa controcultura, mostrando il modo in cui essa feticizza e aliena i membri della comunità gay e transgender. Il regista esplora, inoltre, i limiti dell’autoespressione: le scene di sesso, memori della lezione di Alain Resnais in Hiroshima mon amour, sono mostrate come una ricerca disperata, un groviglio insaziabile di corpi mai pienamente soddisfatti. Eddie cerca riparo nell’arte, ma ovunque vada si confronta con l’impossibilità di una comunicazione totale e i limiti del linguaggio e dell’espressione del sé.

Solo in apparenza difficile da seguire per lo spettatore, Il funerale delle rose presenta una trama più lineare di quanto possa sembrare. Ciò che davvero sorprende è la schiettezza con cui il regista affronta l’argomento dell’omosessualità e della transessualità. Un film dirompente, dunque, che opera una rivoluzione nella rivoluzione, rappresentando in maniera diretta e senza filtri la controcultura gay e transgender che in quegli anni stava iniziando a darsi una forma chiara e ad assaggiare per la prima volta una libertà fino ad allora inaudita, la libertà di scegliere la propria identità e di vivere secondo le proprie regole.

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