Dazai Osamu ci offre un’antologia di fiabe giapponesi dai molteplici volti.
Dazai Osamu (1909 – 1948), il cui vero nome era Tsushima Shūji, è stato uno dei più grandi e più tormentati autori giapponesi del XX secolo. A partire dalla sua opera d’esordio Gli ultimi anni di vita (1936), che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere pubblicata postuma, dopo il primo tentativo di suicidio, rimane uno degli unici autori giapponesi che proseguono nella creazione della propria arte senza cedere alla pressione opprimente della Guerra del Pacifico (1941 – 1945). Partorisce quindi le opere che lo consacreranno come uno dei migliori del suo tempo: Il sole si spegne (Shayō 斜陽), Lo squalificato (Ningen shikkaku 人間失格) e appunto Otogizōshi. Morirà suicida nel 1948 dopo aver provato a togliersi la vita altre quattro volte – in tre occasioni nella forma dello shinjū, ovvero il doppio suicidio d’amore.
Otogizōshi è una breve raccolta antologica di fiabe tradizionali rielaborate dall’autore, Dazai Osamu. Nello specifico, le fiabe narrate sono L’escrescenza sottratta, Il signor Urashima, Il monte Click-Clack e Il passero dalla lingua tagliata. Il pretesto per la narrazione di questi racconti è, per fare un esempio che rimandi i nostri lettori a qualcosa di più noto, simile a quello del Decameron di Boccaccio: così come i 10 giovani fiorentini sfuggono alla peste e si intrattengono narrandosi novelle, allo stesso modo Dazai Osamu e la sua famiglia sono costretti a precipitarsi in un rifugio a causa dei bombardamenti americani che devastano la città e l’autore, per tranquillizzare le figlie e cercare di far dimenticare loro l’inferno che si sta scatenando fuori, comincia a raccontar loro le fiabe. La cornice iniziale assume ancora più significato se si ricorda che in essa è facilmente riconoscibile una matrice autobiografica: l’opera fu infatti scritta tra il 1941 e il 1945, durante la Guerra del Pacifico, quando i bombardamenti americani erano reali e il contatto con la morte e la distruzione quotidiano.
Lo stile dell’autore è colloquiale e informale. Immaginando un pubblico fornito di uno specifico bagaglio culturale tradizionale, presume che i lettori conoscano già la trama delle fiabe che va narrando o i riferimenti storici, geografici o mitologici citati. Sovente interviene tra un capoverso e l’altro commentando o approfondendo un dettaglio, quasi a cercare di instaurare una conversazione virtuale tra autore e lettore:
Si tratta di una certa famosa tartaruga. Ora non è che voglia fare il saccente, ma ce ne sono di varie specie. Quelle che vivono nell’acqua dolce e quelle che dimorano nell’acqua salata hanno una forma differente. […] Quelle palustri, nel preciso istante s’immergessero nell’acqua salata, rimarrebbero soffocate e morirebbero. Ciononostante, sui tavolini shimadai usati per le celebrazioni sul monte Hōrai, a fianco del vecchio e della vecchia, insieme alla gru, compare proprio questa tartaruga.
Si notano chiaramente in questo passo tutti i tratti sopracitati. La approfondita digressione descrive puntigliosamente le differenze tra le varie specie di tartarughe, come se l’autore volesse poi dal lettore un riscontro su quanto sentito o un complimento per la sua erudizione. D’altra parte, nomina solamente “il vecchio e la vecchia, insieme alla gru”, supponendo che il lettore sappia già a cosa si sta riferendo. L’opera è piena di interventi simili, il cui straordinario effetto è di coinvolgere attivamente il lettore, come se fossimo accanto a Dazai Osamu in persona, e questi ci narrasse e ci spiegasse le sue stesse parole, inducendo una spontanea simpatia e un’impressione di vicinanza.
Inoltre, le descrizioni dei luoghi e dei personaggi offrono un’immagine nitida e chiara anche solo con poche pennellate, poiché l’autore focalizza ed evidenzia ciò che anche noi lettori potremmo notare immediatamente in quel determinato luogo o in quel determinato personaggio. Tuttavia, la creazione di posti fantastici (come il Palazzo del Drago che approfondiremo a breve) è lasciata al lettore e tradotta in pochi tratti che dipingono un dipinto mentale indefinito e mistico. In quanto luogo fantastico, l’autore è sensazionale nel descrivere il luogo come se lui stesso fosse stupito dal castello, soffermandosi su tratti e su dettagli che potrebbero apparire irrilevanti, ma sono eccellenti nell’offrire anche al lettore una sensazione di stupore lasciandogli al contempo spazio per completare l’immagine mentale come preferisce.
Con la medesima spontaneità inserisce nell’opera riflessioni o correzioni che fa a se stesso, come se stessimo in parte leggendo ancora una bozza dei suoi racconti e chiedesse a noi, come suoi intimi amici, di fargli conoscere il nostro parere. Notiamo subito come nella prefazione Dazai Osamu, indicando le fiabe che vengono lette ai bambini, elenchi L’escrescenza sottratta, Momotarō, Il monte Click-Clack e Il passero dalla lingua tagliata. Leggendo l’opera scopriremo poi che Momotarō sarà sostituito con Il signor Urashima ed è Dazai stesso a confessarci i motivi che lo hanno indotto ad apportare questa modifica: Momotarō rappresenta il migliore dei giapponesi e la sua storia meriterebbe quindi di essere narrata solo dal migliore degli scrittori. Confessa quindi le sue insicurezze, la sua sensazione di inettitudine nel raccontare vicende che lui non abbia vissuto in prima persona, che non conosca o che non senta sue, e la conseguente propensione a narrare vicende di uomini “normali”, con i propri pregi, i propri difetti, i propri vizi, i propri errori.
Ne L’escrescenza sottratta (Kobutori jiisan), un povero uomo di buon cuore, ma con una famiglia particolare dalla quale si sente trascurato, presenta sulla guancia destra una ingombrante escrescenza. Tuttavia, sentendosi solo, si affeziona a questa protuberanza e ci dialoga come se fosse un suo nipotino. Un giorno, mentre è sul monte per tagliare della legna, abbandonatosi all’alcool si addormenta per destarsi nuovamente solo a tarda notte. Sulla via del ritorno si imbatte in un banchetto di oni, ovvero demoni, i quali, dal momento che stanno allegramente bevendo in compagnia, suscitano simpatia nel vecchio, che si unisce a loro. Grazie all’ebbrezza, l’uomo non teme i demoni e si esibisce in una buffa danza davanti a loro i quali, per ringraziarlo del simpatico spettacolo, gli sottraggono l’escrescenza sul viso supponendo che per il vecchio fosse un dispiacere averla. L’uomo torna a casa sconsolato, privato del suo caro nipotino. La sua storia giunge alle orecchie di un altro vecchio, perfido e malvagio, che presenta una indesiderata escrescenza sulla guancia sinistra. Si reca anch’egli sul monte sperando che gli oni la tolgano anche a lui. Tuttavia i demoni lo scambiano per l’uomo della volta precedente e, ricordandosi di quanto avesse sofferto per la privazione della protuberanza, gliela attaccano nuovamente. Anche il vecchio scende dal monte sconsolato e con un’ulteriore escrescenza.
Il signor Urashima è forse una delle fiabe più famose di tutto il Giappone. Urashima Tarō, primogenito di una nobile famiglia, è esausto di tutta l’ipocrisia e i giudizi che ammantano l’ambiente di corte. Conosce per caso una tartaruga parlante che lo conduce nel leggendario Palazzo del Drago, una fantastica reggia sui fondali marini dove abita la principessa Oto. Il luogo è privo di qualsiasi pregiudizio o di qualsiasi costume legato all’ospitalità e Urashima se ne innamora. Prima che faccia ritorno alla corte, la principessa gli regala una scatola che però gli raccomanda di non aprire. Tornato a casa, Urashima trova un mondo stravolto che non riconosce e, in preda alla disperazione, apre la scatola. I pochi giorni passati nel Palazzo del Drago corrispondono a centinaia di anni sulla Terra e come conseguenza Urashima invecchia di trecento anni.
Il monte Click-Clack (Kachi kachi yama) racconta la vendetta di un coniglio su un tanuki, un cane-procione, colpevole di aver ucciso una vecchia signora amica del coniglio. Il crimine è stato commesso per legittima difesa poiché la signora aveva tentato di cucinare il tanuki. Il coniglio tuttavia non vuole sentire ragioni e il racconto si sviluppa attorno agli svariati espedienti tramite i quali tenta di ferire, e infine uccidere, il tanuki. La storia è accompagnata da una parallela storia d’amore che il cane procione cerca di avere con il coniglio, che Dazai Osamu sapientemente rappresenta come una giovane vergine, in contrasto con la tradizione che lo voleva maschio: un efficacissimo espediente narrativo che rende la morale della fiaba molto più sfumata e labile.
Ne Il passero dalla lingua tagliata (Shitakiri suzume), un signore benestante decide di trascorrere la propria vita privatamente seguendo la via del romitaggio. L’unica sua compagnia sono i libri e i cinguettii dei passeri. Un giorno un passero parlante si intrattiene in una profonda conversazione con lui ma la moglie, sentendo una voce femminile, suppone si tratti di un’amante del marito e irrompe nella stanza. Non credendo alla storia del passero parlante, in preda all’ira strappa la lingua all’uccellino. Nei giorni successivi il vecchio cerca invano il passero nel bosco, fino a svenire in mezzo alla neve. Vive quindi un’esperienza mistica nella quale si sveglia in un castello di passeri che tuttavia hanno le sembianze di bambole. Una volta incontrato l’uccellino ferito, torna a casa dopo aver accettato un umile regalo. La moglie, avida, venuta a conoscenza della storia vuole recarsi anche lei al castello per farsi omaggiare con il regalo più splendido possibile. Purtroppo morirà congelata sulla via del ritorno, schiacciata dal peso del cesto di bambù che aveva ricevuto in dono.
Questi brevi riassunti delle fiabe narrate nell’Otogizōshi hanno un chiaro scopo: evidenziare come si tratti di fiabe mature, complesse, destinate a un pubblico di adulti. Le reinterpretazioni di Dazai conferiscono al testo una semplicità formale che nasconde però una controversa profondità sostanziale. Le modifiche che l’autore apporta alle fiabe originali servono a creare questo abilissimo contrasto e a privare questi racconti dei soliti e banali insegnamenti morali. I demoni de L’escrescenza sottratta sono amichevoli, di buon cuore, accolgono il primo visitatore al loro banchetto e rendono in buona fede la protuberanza al secondo a causa di un fortuito scambio di identità. Tuttavia, in questa fiaba nessuno ha fatto nulla di male, eppure tutti al termine della vicenda sono scontenti. Ne Il signor Urashima non è affatto chiaro l’intento della principessa Oto nel dare al protagonista suo regalo: una punizione per aver soggiornato nella sua reggia senza curarsi del buon costume o un dono per evitare al signor Urashima una vita di ipocrisia e convenzioni? Il ritratto appena accennato della principessa, che non pronuncia neppure una parola in tutta la fiaba, complica ulteriormente l’interpretazione del suo gesto. Infine, ne Il monte Click- Clack tutta la storia ruota attorno ai tentativi del tanuki di conquistare il coniglio:
È forse un male essermi innamorato?
Queste sono le ultime parole del cane-procione, prima di annegare davanti al suo freddo e cinico assassino. Il tanuki, che fino ad allora si era contraddistinto per codardia, opportunismo e disonestà, viene quindi mostrato qui sotto tutt’altra luce e l’intera fiaba assume un nuovo significato, che sfuma indistintamente il confine tra bene e male, giusto e sbagliato.
In conclusione, la lettura di Otogizōshi è uno straordinario viaggio nei racconti tradizionali giapponesi, raffigurati in modo da essere un continuo spunto di riflessione. Le descrizioni dei luoghi e dei personaggi, ora dettagliate ora appena abbozzate, trasportano il lettore in un’atmosfera quasi surreale e mistica. Le reinterpretazioni di Dazai Osamu confondono il fine morale della fiaba e lo rendono controverso, indicando al lettore come il confine tra luce e buio non sempre sia chiaro. La spontaneità della narrazione le conferisce un tepore che ci accompagna lungo tutta la lettura, come se l’autore si interessasse alla nostra opinione e si premurasse che la lettura ci risulti gradevole. Tuttavia i racconti lasciano un senso di smarrimento e insicurezza, comune denominatore anche della tormentata vita dell’autore, che ci avvicina ancora di più a Dazai Osamu in quanto uomo e riduce ulteriormente la distanza tra lettore e autore.
Per gli appassionati di manga e anime, Dazai Osamu dà il nome anche a uno dei personaggi di Bungo Stray Dogs (Bungō sutorei doggusu 文豪ストレイドッグス) – che letteralmente significa "Cani randagi maestri di letteratura". Tutti i personaggi sono infatti celebri scrittori giapponesi e nello specifico Dazai Osamu ricalca i tratti di colui che gli ha donato il nome: ha una personalità misteriosa e cupa, la sua abilità è chiamata Lo squalificato e ha la macabra abitudine di tentare frequentemente degli shinjū, ovvero dei doppi suicidi d’amore, fallendo ogni volta.