Il demone dai capelli bianchi (Hakuhatsuki) è uno dei numerosi romanzi di Edogawa Ranpo, pubblicato per la prima volta nel 1932. Raggiunge l’Italia nel 2020, edito da Elliot nella traduzione di Diego Cucinelli.
Il demone dai capelli bianchi è un breve romanzo che appartiene alla corrente dell’ero-guro nansensu, uno stile che combina erotismo e macabro, di cui Rampo è considerato uno dei maggiori esponenti.
L’opera in realtà è l’adattamento dell’omonimo lavoro di Kuroiwa Ruikō, autore che a sua volta reinterpretò la celebre Vendetta di Marie Corelli. Tuttavia il testo di Ranpo, ispirato anche ad Alexandre Dumas e a Edgar Allan Poe, differisce da quello di Ruikō per il linguaggio più moderno e il finale completamente diverso. Seppur breve, con le sue 192 pagine ci accompagna in un viaggio fantastico alla scoperta della psicologia umana: una psicologia rancorosa, vendicativa, spietata e calcolatrice.
Ambientato nel Giappone degli anni Trenta del Novecento, il protagonista della vicenda è Toshikiyo, un giovane visconte ricco e misogino che s’innamora perdutamente di Ruriko, la donna più bella del Giappone.
Un giorno, durante un’escursione, Toshikiyo cade da una rupe e muore. Si risveglia nella tomba di famiglia nelle sembianze di un demone dai capelli bianchi e, una volta evaso, realizza che la sua vita in realtà non era poi così lieta e appagante come pensava, anzi era piena di inganni e sotterfugi. Addolorato dalla triste scoperta, decide di vendicarsi per farsi giustizia da solo. Escogitando quindi un incredibile piano riesce a mettere in atto una vendetta spietata e crudele.
Il romanzo è narrato da Toshikiyo diversi anni dopo l’accaduto, il che ci porta a conoscere tutte le sventure che hanno caratterizzato la sua seconda vita. L’uomo confessa i suoi peccati quasi cercando di giustificarsi per gli atti disdicevoli che ha commesso: In quel momento io non ero altro che una bestia, un ammasso di odio mosso dal desiderio di vendetta.
Nel corso del racconto siamo proiettati nelle riflessioni personali del visconte, un uomo tradito e ferito che per placare l’odio che prova mette in atto una terribile vendetta: più l’amore è forte e più l’odio che lo segue è violento. Leggendolo risulterà impossibile non immedesimarsi, anche perché spesso e volentieri il protagonista si rivolge al lettore, talvolta giocando anche a indovinarne i pensieri.
In un’atmosfera ricca di dettagli gotici e macabri, il tema principale su cui ruota questa agghiacciante vicenda è la vendetta: occhio per occhio, dente per dente. Viene ricercata con pazienza e bramosia ed è considerata una divinità.
Ma una volta ottenuta, a cosa porta? Nel finale del romanzo, concluso il periodo in prigione, vediamo il protagonista acquisire una consapevolezza diversa: Oggi come oggi, ecco ciò che penso dalle azioni da me commesse. Ho goduto eccessivamente della vendetta. Sono io il malvagio. Sia Ruriko sia Kawamura non meritavano un destino tanto orribile. A dire la verità, provo pena per loro. E anche io, agendo così, ho solo sprecato forze inutilmente. Lunghi anni di prigionia mi hanno trasformato in un uomo mite, miei cari signori. Quest’ultima confessione, di fatti, è in linea con la dottrina su cui si fonda il racconto, ossia, kanzen-chōaku: incoraggiare il bene e punire il male.
Un romanzo che racconta una storia di vendetta già conosciuta ma che rimane comunque attuale, in qualche modo intima, e riesce a farci riflettere sulla distinzione tra bene e male mettendo a dura prova la nostra morale.