Dalla penna di una delle pioniere della letteratura per ragazze e della cultura shōjo, diciotto affascinanti racconti che ritraggono amicizie e amori fra giovani donne, tradotti per la prima volta in italiano da Paola Scrolavezza.
L’inizio di una nuova epoca
Siamo a cavallo fra la fine degli anni Dieci e la prima metà degli anni Venti del secolo scorso, e in Giappone tutto sta cambiando: un mutamento radicale che non si è mai fermato sin da quando il paese ha iniziato a occidentalizzarsi e modernizzarsi nella seconda metà del XIX secolo.
La società giapponese si evolve rapidamente, prendendo “in prestito” costumi e usi europei ma allo stesso tempo tenendo strette a sé le sue tradizioni. Il tenore di vita si alza, e grazie alle riforme del governo Meiji l’istruzione elementare viene estesa a gran parte della popolazione, incluse le donne.
Nasce così una nuova “classe sociale”, quella delle shōjo, ovvero giovani donne che avevano ormai superato la pubertà ma che ancora non erano sposate. Se nel passato questo periodo di tempo fra la fine dell’infanzia e l’inizio della vita di moglie e madre era molto breve, con l’avanzare della modernizzazione del Giappone e i primi sentori di emancipazione femminile diviene sempre più lungo. È in questo periodo, infatti, che vengono aperte le prime scuole superiori femminili e le eisei gakkō, cioè le scuole straniere dove si insegnava l’inglese; ed è sempre in questi anni che per le donne si aprono sempre più possibilità nel mondo del lavoro, soprattutto nel settore terziario.
Le shōjo diventano così una nuova fascia di consumatori, e quindi un target di quella cultura di massa che stava nascendo proprio allora. Sull’onda del generale boom dell’editoria, iniziano a essere pubblicate numerose riviste dedicate proprio a giovani donne e studentesse che proponevano racconti, saggi, consigli, ma anche lettere e contributi scritti proprio da chi quelle testate le comprava e leggeva.
È in questa atmosfera di rinnovamento e modernizzazione che Yoshiya Nobuko fa il suo debutto sulla scena letteraria, proprio attraverso un racconto pubblicato in una rivista per ragazze alla tenera età di dodici anni. Nata nel 1896, Yoshiya ha vissuto appieno la modernizzazione del Giappone e la prima emancipazione femminile che ha portato le shōjo a diventare allo stesso tempo target e creatrici di una nuova cultura giovanile.
Storie di fiori
La raccolta Storie di fiori (titolo originale Hana monogatari 花物語) è il primo capolavoro di Yoshiya Nobuko, ed è composto da cinquantadue racconti brevi scritti e pubblicati a puntate sulla rivista Shōjo gahō fra il 1916 e il 1924. A ognuno di essi viene dato come titolo il nome di un fiore: la rosa gialla, l’ukonzakura, l’acacia, la primula, e altri.
Le protagoniste racconti sono sempre giovani donne, spesso studentesse o insegnanti in una scuola femminile, quasi sempre figlie di una borghesia agiata che permette loro di studiare e imparare non solo nozioni utili alla vita domestica, ma anche culture “altre” come quella inglese. Sono figure pure, innocenti, idealizzate quasi fino all’estremo, senza alcuna esperienza romantica precedente ma allo stesso tempo dotate di un loro speciale fascino seducente, proprio come i fiori che danno il titolo a ognuna di queste storie. Tuttavia, l’inesperienza e la purezza non rendono certo i loro sentimenti meno complessi e travolgenti, e l’oggetto del desiderio (di solito unicamente romantico) è quasi sempre qualcuno di molto simile a loro, una somiglianza che va “ben oltre l’appartenenza di genere”. Le protagoniste delle Storie di fiori amano qualcuno che riconoscono come “identico” a sé stesse, anche e soprattutto a livello di educazione, gusti, scelte estetiche.
Le scuole femminili giocano un ruolo importante: è infatti negli spazi “chiusi” e omosociali di questi istituti che le giovani donne raccontate nei lavori di Yoshiya hanno più possibilità di incontrare qualcuno che condivida le proprie passioni e il proprio stile di vita. Non è un caso, quindi, che queste storie siano spesso ambientate in collegi e dormitori femminili, immersi in atmosfere quasi oniriche e rese esotiche da riferimenti continui alla cultura europea o americana, solitamente idealizzata e quasi “esotizzata” dalle giovani giapponesi di questo periodo storico.
L’Europa o gli Stati Uniti, infatti, venivano visti come una terra di progresso e innovazione, un mondo raffinato ed elegante che arrivava alle giovani studentesse principalmente attraverso la letteratura e la poesia. Studiare una cultura “altra”, in particolare quella anglosassone o americana, veniva visto come un segno di modernità, e presto gran parte delle scuole femminili iniziarono ad offrire corsi di lingua e letteratura inglese. Da qui deriva la numerosa presenza dei personaggi stranieri nei racconti di Yoshiya: donne bellissime, che vivono in Giappone per scelta o per seguire il lavoro del marito, dai capelli biondi e dalla pelle chiara, cariche di un fascino “esotico” e ammaliante. Sono sempre figure idealizzate, a volte salvatrici e protettrici, come la dolce Suor Rosette ne Il fiore del cuore o l’anziana signora Wagner nell’ultimo lavoro della raccolta, Il fiore di fuoco.
In questo mondo romantico e lontano dalla società degli adulti, le figure maschili sono spesso assenti, e se appaiono sono abbozzate, relegate a ruoli secondari, dipendenti: "marito di …", "padre di …". Tutto il contrario rispetto alla maggior parte della letteratura a cui siamo abituati in cui sono gli uomini a portare avanti la storia e le donne sono solo un accessorio, raccontate solo in base alla loro relazione con i protagonisti maschili.
Negli ambienti chiusi delle scuole femminili, le uniche relazioni possibili diventano quindi quelle tra donne: relazioni che iniziano come semplici amicizie fra compagne, ma che spesso sfociano in qualcosa di più profondo e romantico, a volte non corrisposto, senza però quasi mai concretizzarsi in un vero e proprio desiderio fisico. Questi primi amori vengono raccontati dalla penna di Yoshiya con parole cariche di nostalgia: nostalgia per una gioventù e una innocenza perdute, nostalgia per un periodo della propria vita, quello della scuola, che non tornerà mai più. Sono amori delicati, descritti quasi di sfuggita, senza scendere nei dettagli. Tuttavia, è proprio in questi “spazi bianchi” lasciati dall’autrice che i sentimenti sembrano amplificarsi e acquistare sempre più forza.
Dal nostro punto di vista moderno, a circa cent’anni di distanza dalla prima pubblicazione di questi racconti, può sembrare strano che relazioni omoromantiche di questo tipo venissero lette e “accettate” dal pubblico dell’epoca. In realtà, i rapporti di amicizia romantica fra giovani donne come quelli raccontati da Yoshiya venivano visti come una fase “preparatoria” al matrimonio eterosessuale, una sorta di allenamento all’amore ottenuto senza intaccare la purezza delle future mogli e madri; e solo in quest’ottica venivano tollerati. Ciò non vuol dire che non vi fossero critiche a questo tipo di storie, e Yoshiya stessa si trovò a dover difendere non solo i suoi lavori ma anche questo genere di “amicizie” in un saggio del 1923, citato nella postfazione al volume.
Per quanto questi racconti siano moderni e pioneristici per la loro epoca, è importante quindi non commettere l’errore di guardarli attraverso la lente della contemporaneità. Le relazioni fra studentesse o fra giovanissime insegnanti e allieve narrate nella raccolta non sono infatti destinate a durare: sono tutte esperienze confinate alla gioventù e alle quali viene negato un futuro, proprio come riflette Katsuragi, la protagonista del racconto La rosa gialla:
“[…] il dramma di chi ama una persona dello stesso sesso è non poter vivere unite nel vincolo eterno del matrimonio – i genitori non si tormentano per null'altro a parte il matrimonio appunto, unico e massimo coronamento della vita di una donna – la natura umana su cui si fonda la società non dovrebbe permettere questo abuso e questa beffa…"
L’impermanenza e la fugacità considerate quasi una parte essenziale di queste amicizie romantiche ritornano spesso nei vari racconti, ad esempio nelle prime righe de I fiori dell’ombra:
"Perché il veleno è così bello, il peccato così dolce, il segreto così allettante? Perché le cose belle sono maledette e destinate ad una fine infelice?"
Frasi di questo genere contribuiscono sicuramente alla dimensione onirica in cui le storie contenute nel volume sono immerse: il legame fra le due amanti sembra essere talmente forte da poter durare per sempre, ma basta un istante per “svegliarsi” e tornare alla realtà, alla società patriarcale che le vuole ancora “buone mogli e sagge madri”, come recitava un famoso slogan del governo dell’epoca.
In realtà, nonostante siano stati fatti innumerevoli passi avanti, anche ai giorni nostri le relazioni amorose fra donne incontrano non pochi ostacoli; ma è forse proprio per questo che i racconti di Yoshiya sono ancora capaci di attrarci e colpirci dritti al cuore, anche cent’anni dopo la loro stesura.
Storie di fiori è stato pubblicato quest’anno nella collana Asiasphere della casa editrice Atmosphere Libri.