Ecco che sapore hanno le parole ne “La ragazza del Kyūshū” di Matsumoto Seichō: sanno di omicidio, di ingiustizia, e soprattutto di vendetta.
Matsumoto Seichō, pseudonimo di Matsumoto Kiyoharu (1902-1992), esordisce nel mondo del giallo con il racconto breve Kao (The Face). Proviene da un contesto molto diverso: prima del 1955, anno di pubblicazione di Kao, si era infatti concentrato su una letteratura più “pura”, riuscendo anche a vincere il prestigioso premio Akutagawa grazie a una cronaca storica. Tuttavia, il genere a cui l’autore contribuirà maggiormente con i suoi lavori sarà senza dubbio la detective fiction, tanto da essere definito da molti il Simenon giapponese.
La ragazza del Kyūshū viene pubblicato in Giappone nel 1960 con il titolo Kiri no hata; in Italia arriva nel 2019, grazie alla casa editrice Adelphi, nella traduzione di Gala Maria Follaco.
Kiriko lasciò la pensione di Kanda alle dieci del mattino.
Il nome dell’avvocato per cui era venuta appositamente dal Kyūshū era Ōtsuka Kinzō. Una ventenne come lei, impiegata presso una ditta come dattilografa, non avrebbe certo avuto motivo di conoscere la sua fama di penalista se, in seguito all’incidente che le aveva sconvolto la vita, non avesse sentito tante persone fare il suo nome.
Kiriko ha vent’anni, arriva dal Kyūshū e ha bisogno di aiuto: suo fratello Masao è stato arrestato per un omicidio che non ha commesso, e tutte le prove sono contro di lui. Kiriko, non avendo denaro a sufficienza per potersi permettere un buon legale, si reca a Tokyo per rivolgersi al famoso avvocato Ōtsuka nella speranza che questi decida di assistere suo fratello pro bono. Ma Ōtsuka rifiuta, sia per la questione monetaria, sia perché anche davanti a Kiriko – che con fermezza e allo stesso tempo disperazione gli chiede aiuto – non riesce a fare altro se non pensare all’imminente rendez-vous con la sua amante.
«Evidentemente per chi è povero non può esserci giustizia».
Non è un caso che i lavori di Matsumoto Seichō abbiano dato inizio, negli anni Cinquanta e Sessanta, al cosiddetto shakaiha, ovvero la “scuola sociale”: l’interesse verso una rappresentazione realistica e costruttiva della società e delle problematiche in cui è immersa intride le sue storie, ne è protagonista. Nel caso de La ragazza del Kyūshū, l’attenzione viene posta immediatamente sull’ingiustizia cui va incontro Kiriko quando si trova impossibilitata a pagare l’unica persona che potrebbe salvare il fratello. E così pronuncia quelle parole, secche, tremendamente vere, che segnano l’inizio della sua vendetta.
La ragazza del Kyūshū è davvero un romanzo di vendetta. Il lettore se ne accorge lentamente, quando viene a sapere della morte di Masao; quando, attraverso gli occhi di un terzo personaggio, Abe, scopre che Kiriko si è trasferita a Tokyo; ma soprattutto quando si accorge che i pezzi prima sparsi iniziano a incastrarsi secondo una casualità gelida e perfetta.
Probabilmente il romanzo di maggior successo di Matsumoto Seichō è Ten to sen, recentemente pubblicato in Italia con il titolo di Tokyo Express. Si tratta di un romanzo giallo, proprio come La ragazza del Kyūshū, ma pur essendo stati pubblicati a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, e pur essendo storie entrambe scaturite da un omicidio, i racconti risultano molto diversi. Laddove Tokyo Express viene costruito schematicamente, in una successione di eventi mai lasciati al caso, La ragazza del Kyūshū sembra ruotare attorno a una serie di eventi casuali ma perfetti. E forse è proprio questo il punto forte della storia: non sapere come andrà a finire perché nemmeno la protagonista, forse, lo aveva deciso fin dall’inizio.
Kiriko aveva un piano? Oppure, semplicemente, il destino le è stato favorevole?
«La tua vendetta ha funzionato alla perfezione, non è così?»