Pubblicato di recente in Italia, Red Girls di Sakuraba Kazuki è una saga famigliare appassionante che si intreccia con le vicende e i cambiamenti del Giappone degli ultimi decenni. NipPop ha avuto l'occasione di intervistare per voi la traduttrice del libro: Anna Specchio.
Red Girls, conosciuto in patria come Akakuchiba ke no densetsu (La leggenda degli Akakuchiba), quando venne pubblicato nel 2006 fu un grande successo. Tuttavia, questo best-seller è approdato nelle librerie italiane soltanto quest’anno, grazie alla casa editrice Edizioni E/O e la traduzione di Anna Specchio, la quale oggi ci ha gentilmente concesso un’intervista.
NipPop: Sakuraba Kazuki è un'autrice che nel 2008 ha vinto il premio Naoki per la sua opera Watashi no otoko (“Il mio uomo”) ed è conosciuta in Giappone per la sua serie di light novel intitolata Gosick, della quale in Italia è arrivato l'adattamento manga.
Red Girls è quindi il primo romanzo di Sakuraba pubblicato nel nostro paese. Conoscevi già la scrittrice prima di lavorare alla traduzione di questo romanzo oppure anche per te è stata una nuova scoperta? Dopo aver lavorato su Red Girls che opinione hai dello stile di scrittura di Sakuraba?
Anna Specchio: Grazie innanzitutto per avere letto e recensito Red Girls – La leggenda della famiglia Akakuchiba e per l’intervista. Ho conosciuto l’autrice, attraverso i suoi romanzi, nel 2017, mentre mi trovavo in Giappone, quando ho acquistato proprio Red Girls (Akakuchiba ke no densetsu, in originale) e Watashi no otoko. Ma non ho mai letto (sigh!) i suoi manga. Red Girls però l’ho letto solo durante la traduzione: mi piace leggere il romanzo mentre lo traduco poiché questa prassi mi stimola ad andare avanti e procedere nel lavoro, sia per scoprire cosa accadrà nelle righe successive, sia per divertirmi a immaginare l’epilogo. Riguardo lo stile di scrittura… cambia, sensibilmente, dal primo al terzo capitolo. L’autrice spiega il perché nella postfazione all’edizione tascabile che in accordo con l’editor abbiamo deciso di lasciare anche nella versione italiana. Ma sulla sua scrittura e il mio rapporto con la traduzione vi rispondo nella seconda domanda.
NipPop: Grazie alla tua traduzione la lettura di Red Girls scorre fluida, in modo estremamente piacevole. Ci si immerge del tutto nelle vicende delle protagoniste e ci si sente trasportati negli scenari descritti. Come è stato tradurre questo testo? Ha rappresentato una sfida interessante? Quale è stato il tuo approccio di traduttrice?
A.S.: Rieccomi qui. Mi aggancio al discorso della traduzione partendo dallo stile di scrittura di Sakuraba Kazuki, poiché per seguire le evoluzioni del suo stile ho adottato diverse strategie. La prima parte, quella relativa alla storia di Man’yō (che poi è il personaggio principale intorno a cui ruota la storia, sebbene le protagoniste indiscusse restino l’immensa dimora rossa e la famiglia Akakuchiba con la sua storia illustre), è scritta con frasi lunghe, un gran numero di relative, e innumerevoli, e a volte ripetitivi, riferimenti a termini relativi alla fabbricazione del ferro attorno ai quali ho consultato diverse fonti per capirne la funzione e l’uso – e la traduzione. Le frasi lunghe presentano spesso una sintassi non dissimile da quella della lingua inglese, o della lingua italiana, in alcuni casi: ho trovato più insidioso comprendere i vari riferimenti tra i verbi e i (s)oggetti che non ricostruire gli interi periodi proprio perché ricordavano una costruzione del testo più “occidentale”. E in riferimento alla letteratura globale, mi è venuto in mente come certi brani sembrano scritti in partenza proprio come se fossero pensati per essere tradotti. Sempre nella prima parte, intrisa di realismo magico e in cui compaiono anche termini coniati dall’autrice, quali rosa fucile o tè bukupuku, Sakuraba allunga spesso le vocali degli avverbi: allungamenti insoliti, che se in giapponese funzionano e lasciano immaginare il modo di pronunciarli (quasi come se la narratrice volesse narrarci una storia magica e mitologica del passato), in italiano non avrebbero mai sortito lo stesso effetto: da qui la decisione di ripeterli due volte, per trasportare il lettore italiano nella dimensione della storia mista di mito e mistero (tanto, tanto tempo fa…).
La seconda parte è incentrata sulla storia di Kemari, la ragazza imbizzarrita nata sotto il segno del Cavallo di Fuoco che trascorre la sua adolescenza in sella a una motocicletta e dopo varie peripezie come capo della sua banda di teppiste abbandona la strada per intraprendere la carriera di mangaka. In questa parte, Sakuraba Kazuki crea un momento di contatto tra i due universi da lei frequentati, quello della letteratura e quello del manga, rendendo in prosa azioni o scene in un linguaggio che molto si avvicina a quello del fumetto giapponese. L’autrice spiega che nella prima stesura l’influenza del manga era ancora più evidente, ma che ha ricevuto indicazioni precise di allinearsi alla prima parte per non creare troppo distacco. Ma la bozza è stata pubblicata come volume a parte e riprende le vicende in sella delle Iron Angels, sono curiosissima di leggerlo (e chissà, tradurlo?). A ogni modo, ammetto che tradurre manga mi ha molto aiutata per il linguaggio in questa seconda parte. Sia nella riproduzione dei suoni (se fossero state tavole, sarebbero state onomatopee), sia nella riproduzione dei dialoghi (“Che palleee!”). Anche in questa parte ci sono termini inventati: è il caso di nanpa shōjo per indicare le ragazzine che, negli anni Settanta e Ottanta, preferivano vestirsi alla moda, curarsi, attaccare gli adesivi sulla cartella e frequentare le discoteche e che fanno da controparte alle ragazze dure, le teppiste capitanate da Kemari. Alla fine ho scelto di renderlo con “fichette mondane”, spesso mettendo solo “fichette” per non essere ridondante. In inglese ho letto che hanno tradotto con “preppy girl”. Non so quanto sia riuscita a trasmettere l’idea, il giapponese veicola anche il fatto che erano “le morbide” in contrapposizione con “le dure”.
La terza parte, ambientata nel presente/futuro, ha come protagonista Tōko, figlia di Kemeri e “indegna nipote” di Man’yō che utilizza un linguaggio fluido e giovanile (parla di “sposarsi” anziché “andare in sposa”, cita i call center e il discorso della precarietà, l’atmosfera mitologica è persa del tutto). L’intento di Sakuraba Kazuki era quello di inserire del mistery, così per alcune supposizioni e altro mi sono rifatta ai due di Higashino Keigo che ho tradotto in passato.
Ogni sezione ha presentato dunque sfide sue, e molti cambiamenti. Spero di essere riuscita a renderli, in qualche modo, anche nell’italiano.
Tweet di Sakuraba Kazuki in cui mostra l’edizione tedesca e italiana del suo romanzo
NipPop: Sakuraba Kazuki ha affermato che Red Girls è stato per lei una sorta di sfida personale: voleva creare un'opera che facesse divertire il lettore e lo facesse sentire vicino ai personaggi. Pensiamo che ci sia riuscita, se teniamo conto del successo ottenuto in patria. Ai tempi della prima pubblicazione in Giappone, il romanzo ha infatti ricevuto molte recensioni positive dalla critica, venduto migliaia di copie e vinto anche il premio Mystery Writers of Japan Awards.
Quali sono secondo te le qualità di questo romanzo che lo hanno reso tanto popolare? Ci sono invece elementi che non ti hanno convinta del tutto? Ti piacerebbe lavorare ancora su opere di Sakuraba Kazuki in futuro e magari portare altri suoi romanzi in Italia?
A.S.: Red Girls presenta, attraverso la storia di tre donne appartenenti all’antica e illustre famiglia Akakuchiba, i diversi e numerosi cambiamenti cui il Giappone è andato incontro dalla disfatta della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri. Un Paese in continua evoluzione proprio come le soggettività femminili incarnate dalle tre protagoniste: questo credo sia il suo maggiore punto di forza, mentre l’elemento mistery per cui si è aggiudicato il premio è in realtà un espediente per offrire all’ultima ragazza una ragione d’essere. Nella precaria società contemporanea dove è difficile trovare una collocazione e un’identità stabile, Tōko si affida l’incarico di ricostruire quello che a suo avviso è il mistero intorno alla morte di un personaggio di cui non si conosce l’identità ma che è centrale in tutta la vicenda. Allo stesso tempo, il fatto di essere presentato come un romanzo mistery può fuorviare il lettore, poiché mancano alcuni tratti caratteristici del mistery.
Un altro punto di forza sono i riferimenti al gender. Le rose fucile, teppō bara in originale, sono state scritte, immagino, per creare un contrasto con il teppō yuri, letteralmente “giglio fucile” (in italiano, giglio di Pasqua). Il gioco di parole rimanda ai diversi riferimenti all’amore omosessuale e alle amicizie intime tra persone dello stesso sesso presenti nel testo: in Giappone, infatti, il giglio bianco simboleggia l’amore tra donne, la rosa rossa quello tra uomini. Mentre in Red Girls sia il fratello di Kurobishi Midori, sia il primogenito della famiglia Akakuchiba, Namida, sono due omosessuali che non possono vivere in libertà in una società che vede nell’uomo virile la sua figura portante, ed entrambi trovano riposo eterno tra le montagne: il primo viene portato dalla Gente di Frontiera nella valle delle rose fucile, il secondo muore in circostanze misteriose mentre impegnato in un’escursione proprio alle spalle del coetaneo di cui è innamorato. A questo proposito, sono fondamentali le parole pronunciate da Kurobishi Midori quando incontra l’amica nella sala da tè Bukupuku in cui esprime il desiderio di un futuro da costruire affinché tutti possano vivere secondo le proprie inclinazioni: Man’yō fino a quel momento era vissuta senza la consapevolezza di potere agire, sicura, perché così le era stato insegnato, che l’unico dovere di una donna dovesse essere quello di offrire protezione alla famiglia.
Riguardo l’ultimissima domanda, e prometto di non dilungarmi ulteriormente, la risposta è sì: mi piacerebbe tantissimo poter lavorare su Watashi no otoko, da cui nel 2014 è stato anche tratto l’omonimo film per la regia di Kumakiri Kazuyoshi. La storia di una bambina di dieci anni che dopo aver perso la famiglia in seguito a uno tsunami viene affidata alle cure di un parente di sedici anni più grande con il quale comincia a intrattenere una relazione incestuosa e difficile. Le tematiche sono crude, e da quello che ho visto sfogliando il romanzo originale il giapponese non è semplice o lineare, ma mi piacerebbe tantissimo poterlo tradurre. Grazie ancora per l’intervista!
I poster del film "Watashi no otoko" ispirati al libro di Sakuraba Kazuki che le è valso il premio Naoki 2008