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“Yi Dai Yi Lu” di Pio d’Emilia: La FerroVia della Seta

6 Agosto 2019
NipPop Staff

 


Yi Dai Yi Lu è un documentario a cura di Pio d’Emilia che si concentra su “One Belt, One Road”, un progetto del governo cinese annunciato nel 2013, con lo scopo di collegare oltre 60 paesi con la Cina tramite rotte commerciali e investimenti infrastrutturali. Un progetto enorme che comprende anche la “Nuova Via della Seta”, una rete di strade, ma principalmente ferrovie, che partono dalla città di Chongqing nel Sichuan per arrivare fino a Duisburg, in Germania, il più grande centro di smistamento merci europeo.

Pio d’Emilia e il progetto “Yi Dai Yi Lu”
Pio d’Emilia, giornalista che da anni si occupa di Giappone, Corea, Cina e Sud-est Asiatico, ha deciso di seguire fisicamente il percorso che effettuano i treni dalla Cina fino all’Europa. Riflette sul peso che questo progetto cinese avrà per il mondo occidentale, senza mancare di darci uno scorcio di cosa è la Cina ora, dal “grande balzo in avanti” di Mao fino all’ascesa di Xi Jinping. La Cina non è più il paese arretrato che ha bisogno dei mercati occidentali per svilupparsi, e che basa la produzione sull’economicità delle materie impiegate: ora sono i paesi europei che necessitano del mondo imprenditoriale cinese per non rimanere indietro nell’economia mondiale. Xi Jinping ha previsto, grazie a questo progetto, di portare il paese all’apice dello sviluppo nel 2049, tuttavia i problemi sono ancora tanti.

Cina ottimista, ma gli altri?
In Cina la disponibilità verso questo progetto è molta, se ne parla con entusiasmo e interesse. Ma anche altri paesi coinvolti nel percorso fino all’Europa sono consci del vantaggio che in termini di sviluppo potrà portare (il documentario si sofferma per esempio sul Kazakistan).

 

Tuttavia, le posizioni a riguardo sono diverse e non sempre positive. In Russia infatti, la troupe ha avuto difficoltà a reperire informazioni riguardanti la Nuova Via della Seta, però il vero blocco si ha una volta giunti a destinazione, in Europa: migliaia i treni carichi di merci che partono da Chongqing, ma sono molti meno quelli ripartono da Duisburg, spesso pieni solo a metà. Questo purtroppo è segno che per il momento lo scambio commerciale è soprattutto unilaterale: basti pensare che nel 2018 soltanto un convoglio è partito dall’Italia con merci dirette in Cina nonostante il numero elevato di merci cinesi che continuando ad affluire anche sul suolo italiano.

Il secolo cinese: da accogliere o da temere?
Una costante del documentario è la domanda se la Cina sia da temere o se invece rappresenti un’opportunità per i paesi europei, con il miraggio di una nuova possibile Eurasia politico-economica che sembra portare solo vantaggi per chi decide di aprirsi. La Cina ha molto da offrire ai paesi europei, e a sua volta è molto interessata ai nostri prodotti, basti pensare all’Italia e alle piccole-medie imprese attive in svariati rami commerciali. Sta dunque all’occidente decidere se abbracciare il secolo cinese e le sue possibilità, o rimanere legato a una mentalità e a modelli forse ormai superati.

NipPop incontra Pio d’Emilia
Al Far East Film Festival 2019, dove il documentario Yi Dai Yi Lu è stato presentato, abbiamo incontrato e intervistato per voi Pio D’Emilia, in attesa di accoglierlo come ospite a NipPop 2019 il 17-18-19 maggio prossimi.

NipPop: Per il documentario avete avuto delle difficoltà a effettuare delle riprese in Russia. Pensi che questa chiusura possa essere attribuita ai rapporti sempre più intensi che la Cina intrattiene con paesi come il Kazakistan, che appartenevano all’ex Unione Sovietica, oppure ci sono altri motivi per cui il governo russo non vede di buon occhio questo accordo?

Pio d’Emilia (regista di Yi Dai Yi Lu): Non ho avuto problemi a filmare i treni, o qualsiasi altra cosa in Russia, ho avuto problemi ad avere informazioni. Nel senso che la Russia su questo tema è fredda, mentre gli altri Stati una volta che abbiamo chiesto sono stati molto disponibili. Le ferrovie come sapete sono sempre luoghi abbastanza strategici, anche in Italia: a meno che tu non vada a farti un selfie, se vai alla stazione Termini o a quella di Bologna, devi chiedere l’autorizzazione, anche per fare una ripresa con una telecamera semi-professionale. Succede dappertutto. Quello che ci ha colpito molto è che a livello di ambasciata, di governo, di ufficio stampa e di direzione delle ferrovie, non ci hanno dato quell’assistenza e quel tipo di informazioni che ci aspettavamo. Abbiamo cercato di capire il perché. Sembra abbastanza chiaro e l’ho anche detto nel film, che quest’operazione segna la fine della Russia dal punto di vista del suo ruolo come liaison tra occidente e oriente.

La Russia ha sempre giocato – anche all’interno dell’Unione Sovietica – con il suo ruolo di cuscino tra l’oriente e l’Europa. Ma il mondo sta cambiando, e bisogna avere l’umiltà, a livello di Stati oltre che di cittadini, di capire quali sono i ruoli; come i francesi hanno per anni continuato a pensare in termini di grandeur quando invece già non contavano quasi più nulla, così l’ex Unione Sovietica diventata Russia deve capire che o segue il cambiamento inarrestabile che si sta verificando nel mondo, cioè l’avvento del secolo cinese, oppure è destinata a diventare una delle tante repubbliche caucasiche. E non ci sarà differenza sotto il profilo del ruolo politico tra il Kazakistan, il Kirghizistan e la Russia, perché il rapporto sarà diretto tra Cina ed Europa, e quindi Eurasia.

Vi segnalo una cosa interessante: i cinesi, quando studiano la geografia sui loro testi, ovviamente mettono al centro la Cina perché è un paese immenso, ma poi non hanno Asia ed Europa, hanno Eurasia, da sempre. Questo ci faccia pensare.

NipPop: Tornando sul discorso di Eurasia, di cui ovviamente hai parlato anche nel documentario, il Giappone in questo caso dove pensi che si collocherebbe, non avendo la possibilità di costruire degli scambi commerciali via terra come sta facendo la Cina?

Pio d’Emilia: Anche qui, voi siete “nippologhi”, quindi possiamo usare dei termini giapponesi, cioè honne e tatemae, “quello che è” e “quello che appare”. Quello che appare è che il Giappone si pone in maniera conflittuale nei confronti della Cina, mostra i pugni, i denti, apre al riarmo, urla alla minaccia cinese; la realtà è che la Cina da anni è il primo partner commerciale del Giappone, le loro economie son interconnesse al 100%, e ogni volta che i rispettivi governi entrano in conflitto il mondo industriale sia cinese che giapponese si mette le mani nei capelli e si preoccupa proprio perché sono interdipendenti. È esattamente quello che succede tra Italia, Francia, Germania e in Europa. Siamo interconnessi e interdipendenti.

A livello politico purtroppo il Giappone in un certo senso è un altro paese come la Russia e come l’Italia, cioè paesi che stentano a rendersi conto di come è cambiato il loro ruolo. Il Giappone fino agli anni ‘80, cioè fino alla fine della bubble, era in corsia di sorpasso, era diventato la seconda potenza mondiale, addirittura qualcuno (qualche collega) scriveva che avrebbe prima o poi superato gli Stati Uniti; voi siete giovani ma Sony stava comprando il Rockefeller Center, gli studi Universal, addirittura stava per comprare Disneyland. Il ruolo del Giappone improvvisamente è cambiato, io ho usato nel mio recente articolo il termine “dalla corsia di sorpasso è passato ai box”: sta fermo ai box e sta aspettando di capire chi ci può mettere le mani, perché il motore ha fuso.

Quali sono le opzioni? Fare un passo indietro con umiltà, riconoscere la leadership oggettiva cinese. Non c’è bisogno di riconoscere quella politica, ma semplicemente quella logistica reale, che sta sotto gli occhi di tutti, che è fatta da un miliardo e mezzo di persone contro centoventi milioni, e questo già la dice tutta. Oppure continuare a far finta di nulla, facendo finta di non essersi accorti che il mondo sta cambiando. Cioè restare a rimorchio degli Stati Uniti che tra l’altro se ne stanno lavando le mani del Giappone, perché la Corea del Nord e altri punti d’attenzione lo hanno scavalcato. Anche Abe – notizia proprio di questi ultimi giorni – finalmente si è accorto di essere rimasto indietro rispetto alla Corea del Nord, e adesso sta cercando di incontrare a sua volta Kim Jong-Un. Prima aveva detto che un incontro ci sarebbe stato solo quando avessero smesso di tirare missili sul Giappone; la seconda volta ha detto solo quando restituiranno tutto sui rapimenti degli anni ‘70; adesso ha messo l’ultima condizione. Che è senza condizioni. E Kim Jong-Un pare gli abbia risposto “Abe chi?”.

NipPop: Tornando alla Cina e Yi Dai Yi Lu, l’Italia sembra non riuscire a essere competitiva rispetto agli altri paesi europei nei rapporti con la Cina; secondo lei come potrebbe fare il nostro paese per migliorare la sua posizione in questo rapporto commerciale?

Pio d’Emilia: Noi non è che non vogliamo essere competitivi, l’Italia è un paese in crisi in questo momento: è un paese del G7 secondo me più per ereditarietà che per realtà, ci sarebbero altri paesi che dovrebbero essere membri al posto nostro; è un paese di lunghissima e grandissima tradizione di piccola e media industria, che fa gola al mercato cinese perché la Cina non è più il paese dell’esportazione del prodotto cinese, è anche un paese con la classe media più numerosa del mondo. Adesso sono 600 milioni, diventeranno un miliardo di persone che devono comprare un frigorifero, una lavatrice, una lavastoviglie, una o due macchine, la seconda casa, andare in giro, farsi le vacanze. Un miliardo di persone! Questo miliardo di persone noi dobbiamo cercare di conquistarlo con quello che abbiamo: noi non abbiamo gli airbus, non abbiamo i missili – cioè i missili li abbiamo, le mine le usiamo per venderle all’Arabia Saudita. Però abbiamo tantissima merce che può far gola al consumatore cinese, dobbiamo fargliela arrivare. Per fargliela arrivare c’è soltanto un modo, quello di fare consorzio, di fare sistema, ed è questo che manca all’Italia. Perché l’Italia a differenza di tanti altri paesi non è una nazione, che ci piaccia o meno, è un paese fatto ancora di Veneto, di Basilicata, di Campania, di Piemonte, al limite di Pontebbana, al limite di Triveneto…E quindi gli imprenditori fanno molta fatica a riconoscere che c’è bisogno di un coordinamento logistico. Ecco perché a Mortara è partito un treno e non ne sono più partiti altri, ecco perché la Pivetti che da presidente della Camera adesso fa la venditrice di tappeti e altre cose del genere verso la Cina, non è riuscita a mettere su un treno che sia uno, nonostante siano mesi che ci stia provando, a Verona e da altre parti.

Quindi non è che non vogliamo: in questo momento noi abbiamo un mercato che è potenzialmente interessante per la Cina, ma non riusciamo a farlo arrivare lì. Ecco perché la ferrovia può essere molto utile, a differenza di altre cose.

NipPop: Nella pellicola si è anche parlato dell’idea di imparare il cinese per gestire meglio gli accordi commerciali; tuttavia rispetto al mero linguaggio, quanto ritiene sia importante che noi occidentali ci educhiamo all’approccio verso una cultura che è completamente diversa dalla nostra, per poter comprendere meglio i partner?

Pio d’Emilia: Io, a differenza di alcune persone che ho intervistato nel documentario, sono tutt’ora convinto che studiare la lingua sia importante, soprattutto una lingua come il cinese. E mi auguro e faccio un appello a tutti i giovani che hanno ancora la memoria aperta di buttarcisi dentro, anche perché è una sfida bellissima; io ho imparato solo il giapponese ma credetemi: il fascino delle lingue ideografiche è pazzesco, è come noi vecchi che studiavamo il greco e quando non c’erano le parole attingevamo al serbatoio della terminologia greca. I cinesi e i giapponesi – e in parte i coreani – hanno questo enorme serbatoio da cui attingere, è una lingua che si crea di giorno in giorno, molto bella. Quindi in parte come strumento, come arma, in parte come sfida intellettuale, studiatela, voi che potete.

Dopodiché, sul fatto che sia indispensabile per fare affari con la Cina, non sono d’accordo. Non lo è affatto, anche perché i cinesi sono talmente in gamba che impareranno le lingue occidentali prima di quanto noi arriviamo a competere con loro. E questo non significa che parlare nella stessa lingua non avvicini le persone. Io lo vedo, senza entrare in discorsi politici, nel fatto di avere un sottosegretario come abbiamo in questo periodo, Geraci, che parla cinese: è un valore aggiunto, obiettivamente. Poi può anche dire delle sciocchezze, o fare delle sciocchezze, però sicuramente parte con un piede più giusto, un po’ avvantaggiato, rispetto ai vecchi politici che avevano bisogno di tre interpreti, ad esempio dall’avellinese all’italiano, e dall’italiano al cinese.

Per quel che riguarda la seconda parte della vostra domanda, nel mio documentario avrete notato che ho dedicato non poco spazio alla educazione storica. Siamo partiti dalla rivoluzione culturale, dagli errori di Mao, dal grande balzo in avanti, i balzi indietro: sono tutte cose che vanno studiate, noi non studiamo più la nostra storia e siamo proiettati in un mondo senza conoscerlo. La storia e la geografia sono ormai materie facoltative, con i quiz, con i multiple choice, ma la storia va conosciuta. E per conoscere e trattare in termini efficaci con una potenza come la Cina, e prima con il Giappone, bisogna conoscere la storia di questi paesi. I cinesi conoscono molto più di noi di quanto noi conosciamo di loro. Quanti italiani conoscono la storia delle dinastie cinesi? Quanti italiani conoscono le cifre di questo secolo cinese che va dalla povertà più assoluta allo spostamento di quattrocento, seicento milioni di persone dalla miseria alla classe media? Voi lo sapete che in Europa abbiamo più o meno quattrocento milioni di persone, dalla Lapponia a Malta, e la classe media in questi ultimi vent’anni si è ristretta? Sono aumentati i poveri e sono aumentati gli straricchi, ma la classe media si è ristretta. E questo è comune a tutti i paesi occidentali, compreso il Giappone. In Cina invece si sta allargando. Esattamente quello che è successo in Italia, in Europa e in Giappone dopo la guerra, quando c’era un enorme boom, quando uno stipendio bastava per mantenere l’intera famiglia, comprarsi la seconda casa… Mentre adesso con due stipendi si fa la fame.

Stiamo attenti a capire dove vanno i cinesi, dove sono arrivati e dove stanno andando, e a capire soprattutto perché hanno questa carica. Hanno la carica i giovani e i vecchi, sono diversi dai nostri giovani e dai nostri vecchi. I nostri vecchi guardano con preoccupazione al futuro dei propri figli, perché sanno che avranno più difficoltà di quelle che abbiamo avuto noi; il cinese quando guarda il figlio lo guarda con orgoglio perché dice “ecco, questo fa l’università, questo la sfangherà”.

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