Kantaro è un rappresentante editoriale efficiente ed ordinato, dedito al lavoro, un impiegato modello, se non fosse per la sua smisurata passione per i dolciumi artigianali.
Un viaggio folle, demenziale, a tratti onirico eppure incredibilmente reale e critico, è quello che attraversa le vie poco conosciute di una Tokyo capitale dell’arte dolciaria, l’universo in cui si muove il salaryman protagonista di Kantaro, il rappresentante goloso (Saboriman Kantarō さぼリーマン甘太朗), serie Netflix tratta dall’omonimo manga e prodotta nel 2017 in collaborazione con TV Tokyo.
La successione degli eventi è molto semplice e lineare, così come la caratterizzazione dei personaggi principali che fanno da sfondo alle peripezie del protagonista in cerca, tra una commissione e un’altra, dei più prelibati e tipici dolciumi che caratterizzano i diversi distretti della metropoli. Ognuno è l’archetipo di un diverso tipo di impiegato d’ufficio: la segretaria adorante, il rivale nelle vendite, il capo invadente e un po’ villanzone. Kantaro ( il cui nome non a caso è composto dagli ideogrammi di “dolce taro” ) si presenta invece come un un perfetto Willy Wonka in giacca e cravatta, costretto a nascondere alla madre dentista la propria passione per lo zucchero. È l’emblema dell’antieroe di una crime story di seconda categoria, che cela la sua vera identità dietro a un paio di occhiali da vista e a una pettinatura ordinaria.
Un cavaliere dei dolci, come egli stesso si definisce nel blog culinario che aggiorna quotidianamente, capace di ribellarsi silenziosamente alle istituzioni cardine della società giapponese improntata sulla produttività, servendosene poi per i propri scopi.
Mette a nudo, attraverso l’ironia, le convenzioni sociali alle quali è necessario sottostare, le accetta consapevolmente ma allo stesso tempo ne prende le distanze, lasciandosi tentare da un mondo fatto di piaceri sensoriali.
I dodici episodi che compongono la serie inscenano un’impressionante varietà di cliché, battute comiche, intrecci e parodie tipiche dell’umorismo nipponico tanto care allo spettatore medio, più interessato al prodotto finito e all’estasi del mangiar bene che al processo vero e proprio di preparazione delle pietanze.
Le sequenze che mostrano i veri coprotagonisti dell’opera, i dolciumi, occupano gran parte degli episodi e sanciscono l’inizio della follia, rappresentando l’elemento magico che marca il passaggio tra le due realtà che coesistono nella mente del protagonista. Dopo aver assaggiato una pietanza, Kantaro si trasforma (fisicamente!) e abbandona le vesti di impiegato del mese, per proiettarsi in viaggi mentali ed epifanie che danno vita a gag, improbabili riflessioni esistenziali ispirate da massime di personaggi storici quali Churchill, Nietzsche o Goethe, e bizzarri riferimenti cinematografici (La La Land, Laputa, Neon Genesis Evangelion solo per citarne alcuni).
L’opera è inoltre perversa ed il suo protagonista pervertito e spesso masochista. Le reazioni ai sapori sono volutamente esagerate e i riferimenti sessuali piuttosto evidenti. Il cibo è elemento di lussuria e corruzione, tanto per i personaggi quanto per gli spettatori che assistono con l’acquolina in bocca a una sequenza di immagini decisamente invitanti.
Sia i neofiti che i più appassionati di cucina giapponese non potranno far altro che apprezzare l’impegno degli autori nel convogliare l’importante bagaglio di emozioni e il senso di appartenenza alle tradizioni più autentiche che solo il cibo può esprimere. Ognuno dei dolci presentati racchiude in sé elementi tipici della cultura nipponica, dagli ingredienti al metodo di preparazione e confezionamento sino al modo stesso di mangiarli.
Nell’epoca dei blogger, delle mode culinarie dettate dai social network e del foodporn di Instagram, questa serie offre un vero e proprio tour inaspettatamente profondo e al contempo divertente tra alcune delle più note (e realmente esistenti) boutique di «Tokyo, la città dei dolci, piena di centinaia, se non migliaia, di negozi di dolciumi».