Sullo sfondo di una Hiroshima fine anni '80, dilaniata da bande di gangsters rivali, il mistero di un contabile scomparso nel nulla rischia di riaccendere una faida che sembrava chiusa anni prima.
Hiroshima, 1988. L'era Shōwa volge ormai al termine, e con essa anche il periodo più prospero della yakuza, la mafia giapponese. The Blood of Wolves (Korō no chi, 孤狼の血), ultimo lavoro di Kazuya Shiraishi, presentato al FEFF20 in anteprima mondiale, racconta questo momento particolare del dopoguerra giapponese, con cruda accuratezza e come un senso di malinconia per un mondo ormai perduto, quasi un ultimo "canto del cigno".
Hioka è un giovane poliziotto, laureatosi da poco nella prestigiosa Università di Hiroshima, ligio al dovere e animato da un forte desiderio di giustizia, ma decisamente inesperto. Per ordine del capo della stazione di polizia dove viene trasferito, si ritrova a lavorare con Ōgumi, chiamato da tutti semplicemente 'Gumi, un detective più anziano che ha alle spalle anni di lotta contro le varie bande di delinquenti locali.
Nonostante occuparsi di yakuza sia quello che ha sempre voluto, Hioka non è per niente entusiasta di lavorare con il suo nuovo partner. Il detective infatti non si fa alcuno scrupolo a violare la legge, a ricorrere a metodi brutali e a torturare gli scagnozzi dei gangster più potenti per ottenere quello che gli serve. Inoltre, 'Gumi sembra molto vicino a una delle due famiglie che si contendono il controllo di Hiroshima, gli Odani. Quattordici anni prima, era stato proprio lui infatti a mettere fine a una sanguinosa guerra fra il clan e i suoi acerrimi rivali, i membri della Irako-kai. Ora questi ultimi si sono alleati con il clan Kakomura per conquistare la città intera, e la tensione è palpabile: un solo passo falso farebbe scoppiare l'ennesima e violenta battaglia fra gang rivali.
La scomparsa di un contabile che lavorava in una delle imprese di facciata dei Kakomura è il filo conduttore che tiene unita la trama e la fa procedere. Fin da subito, 'Gumi capisce che c'è un motivo se il poveretto è stato fatto sparire, e incastrare e fermare gli scagnozzi della famiglia stroncherebbe sul nascere la nuova faida con gli Odani. Ma Hioka, nonostante i risultati ottenuti, non si rassegna ai particolari metodi di indagine del suo collega e decide di denunciarlo a uno dei suoi superiori.
Fra complicati intrecci e relazioni fra i vari personaggi, la narrazione si muove a ritmo serrato con un crescendo di azione e brutalità. Immancabili le scene splatter e cruente, tratto distintivo dei film di yakuza fin dagli esordi del genere. In realtà, nonostante le pellicole di questo tipo siano molto popolari presso il grande pubblico, le produzioni di film yakuza si fanno sempre più rare. The Blood Of The Wolves è un omaggio ai grandi cult del cinema sui gangster di produzione giapponese, a cui si rifà attraverso l'estetica volutamente decadente, realizzata con scene dai colori cupi ma attraversate da sprazzi di colori accesi e di luci artificiali.
Il personaggio di 'Gumi è volutamente ambiguo. Per quanto spesso capace di battute sagaci, all'inizio della storia lo spettatore tende a empatizzare con il giovane Hioka e a condividerne il giudizio impietoso sul detective più anziano. È solo in seguito che, pezzo dopo pezzo, la maschera di Ōgumi cadrà, rivelando le sue vere intenzioni. Hioka, al contrario di 'Gumi, è idealista e diretto, ma fino a quel momento non ha mai affrontato il mondo reale. È completamente colto alla sprovvista dalla violenza diffusa nel mondo dei gangster, nonostante le sue iniziali aspirazioni. In qualche modo il film si discosta dalla classica trama alla "poliziotti contro yakuza" per diventare un "coming of age": Hioka cresce, cambia, si adatta, e capisce che per combattere le gang a volte è necessario giocare sporco, ma che questo non significa necessariamente tradire i propri ideali.