Un romanzo di formazione dai toni autobiografici, una storia di abusi e violenza, ma anche di libertà e ribellione di fronte alle menzogne che spesso ci raccontano o che raccontiamo a noi stessi.
Father Fucker (trad. it. di Maria Gioia Vienna) è l’opera con cui Uchida Shungicu esordisce nel mondo della letteratura confermando non solo la propria poliedricità come autrice, ma anche la capacità di trattare, in modo diretto, temi impegnativi, senza perdere il taglio ironico e distaccato che la contraddistingue.
Una famiglia “strana”
“Il bordello si trovava all’estremo ovest della città. La maîtresse era la donna che mi aveva cresciuta per sedici anni, ed era anche mia madre, mentre il cliente era il suo amante, il mio patrigno.” Così Shizuko ricorda gli anni della sua adolescenza, un periodo segnato dagli abusi da parte del patrigno e dall’indifferenza della madre. Inizia poi a raccontare quella che è stata la sua infanzia: i pochi ricordi del padre, il legame freddo con la sorella e la vita claustrofobica nell’appartamento dove abitava con la famiglia. La narrazione prosegue in un crescendo di violenza e depravazione, ma la voce narrante racconta tutto in modo distaccato, ironico, talvolta ripetitivo, mimando una vita che va avanti per inerzia e la totale assenza di volontà, cresciuta dentro di lei insieme alla consapevolezza di non poter fuggire da un simile inferno. Eppure dietro ciò che potrebbe sembrare un percorso di distacco dal mondo e de-sensibilizzazione al dolore, si cela la strenua resistenza di chi non si vuole arrendere. Siamo allora testimoni di piccoli gesti di ribellione: far finta di prendere una medicina, leggere e disegnare al buio, di notte, senza farsi scoprire, non arrendersi all’etichetta “pensa solo ad una cosa” (con riferimento al sesso). Alla ribellione si accompagna un processo di scoperta del sé, della propria innocenza e la fine delle illusioni e delle false accuse, che Shizuko si era vista costruire intorno. Tutto ciò le permette di essere finalmente libera dalla prigione in cui era costretta a vivere.
Il sesso tra crescita e rivelazione
Uchida Shungiku si serve del sesso per descrivere il percorso di crescita psicologica della sua protagonista. È un percorso che non passa solo dalla scoperta del proprio corpo, ma, più nello specifico, dal modo in cui il corpo durante l’amplesso viene (ab)usato o amato. Dall’inesperienza della prima volta e dall’imprudenza delle altre, si passa all’umiliazione dei rapporti con il patrigno. Le giustificazioni non servono e non riescono a ingannare Shizuko che subito si rende conto, disgustata, delle differenze tra una prima volta impacciata, ma voluta, e un abuso maldestramente giustificato e imposto con l’inganno. Se alcuni rapporti costringono la protagonista ad attraversare esperienze crudeli, come l’aborto, altri la spingono ad affrontare la vita e il sesso come una bambola inerme per cercare di dimenticare o ignorare la sua situazione. In ogni caso, anche attraverso il sesso, Shizuko trova la libertà: libertà dai divieti e dai silenzi della famiglia, libertà dalle menzogne che il patrigno e la madre continuano a raccontarle pur di farle accettare delle “attenzioni indesiderate”. Il sesso è uno strumento rivelatore e la verità le permette, alla fine, di essere libera.
Madre: illusione e disillusione
Ciò che colpisce della storia di Shizuko, più degli abusi da parte del patrigno raccontati con distacco, è il tradimento della madre. Nonostante la crudeltà, l’indifferenza e l’egoismo che traspare dagli atteggiamenti della donna, non possiamo fare a meno di notare l’amore e l’affetto sincero che la protagonista prova nei suoi confronti. I sentimenti che legano Shizuko a sua madre sono innati e ingenui, ma le giustificazioni alle sue mancanze come genitore non sono altro che bugie raccontate a se stessa per non accettare la realtà. La donna che considera un’alleata si presta a chiudere gli occhi di fronte alle violenze che è costretta a subire, le rimprovera i suoi fallimenti senza esaltare i successi e chiarisce fin da subito che mai sarebbe corsa in suo aiuto. Solo col tempo Shizuko comprende quanto volgare e crudele possa essere sua madre, una consapevolezza che ci appare ancora più dolorosa perché in questo caso il tradimento viene da una persona amata. È infatti solo quando sopraggiunge la disillusione e Shizuko prende piena consapevolezza del vero carattere di sua madre che può finalmente abbandonare la propria casa ed essere libera. Ma in un ultimo atto d’amore si assicura che il patrigno non possa fare del male alla donna che l’ha cresciuta, dimostrandosi ancora una volta priva di quella malizia e cattiveria di cui invece era sempre stata accusata.
Innocenza e rinascita
Shizuko è innocente, tutte le accuse che le vengono mosse sembrano piuttosto la descrizione dei pensieri perversi di chi le formula. Continua a rimanerlo fino alla fine, grazie al suo modo schietto e concreto di vedere le cose (e di raccontarcele), tanto da non capire perché le vengano rimproverate colpe da attribuire ad altri. Le molestie, gli abusi, l’indifferenza non sono mai colpa sua.
La pioggia che accompagna la sua fuga sembra lavare via lo sporco in cui ha vissuto fino a quel momento. Una pioggia sottile come una doccia fatta apposta per dare sollievo all’anima che accompagna i suoi piccoli passi di danza verso la libertà.