Gino Scatasta ripercorre le tappe della carriera di David Bowie seguendo il filo conduttore del travestimento e del crossdressing.
Il festival NipPop 2018 è intitolato Borderlands: a-tipico Giappone, e, come sapranno i nostri lettori più attenti, è dedicato al queer inteso come eccentrico: fuori dal centro, e quindi sinonimo di consapevole resistenza allo stereotipo, di libertà di scelta. Due sono gli assi tematici che seguiremo: da un lato il gekiga e le culture pop alternative, dall’altro le intersezioni fra sessualità, genere e appartenenza etnica.
Proprio a quest’ultimo argomento, e più nello specifico alla pratica del crossdressing in ambito artistico, è dedicato il ciclo di 4 incontri dal titolo Waiting for NipPop: Crossdressing in Context. Da David Bowie al Teatro Takarazuka, organizzato da NipPop in collaborazione con Power to the Pop – Osservatorio sulle culture pop contemporanee.
Il prof. Scatasta e la prof.ssa Scrolavezza
Il primo di questi incontri si è svolto il sette marzo nell’accogliente cornice de La Confraternita dell’uva, dove Gino Scatasta, professore di Letteratura Inglese e Culture Mediali Anglofone presso l’Università di Bologna, ha deliziato un numerosissimo pubblico parlando di David Bowie star androgina.
Il folto pubblico di Waiting for NipPop
Punto di partenza di questa lectio è il 1970, anno in cui Bowie pubblica il suo terzo album The Man who sold the World: è un disco che segna un decisivo passaggio da un’estetica hippy a quella glam che caratterizzerà la produzione successiva dell’artista almeno fino al ‘74. Se la cultura hippy era stata promotrice di una sessualità aperta e libera, è solo con il periodo glam che la sottocultura omosessuale diventa mainstream. Bowie la abbraccia dapprima in maniera implicita nei testi, ma soprattutto poi nell’ambigua immagine di sé che mostra al pubblico: la copertina lo ritrae in posa languida, con i capelli lunghi e indosso un vestito che, sebbene egli lo definisca un tributo ai pittori preraffaelliti, sembra a tutti gli effetti un abito da donna.
Il riferimento alla bisessualità diventa sempre più esplicito con Hunky Dory, album del ’71, con canzoni che parlano esplicitamente di travestitismo come Queen Bitch, fino a disvelarsi persino nella vita privata: sposatosi con Mary Angela Barnett, giocherà con lei in un continuo scambio di ruoli.
Bowie e Barnett in ruoli scambiati che portano a spasso il figlio Zowie
La definitiva esplosione del fenomeno Bowie arriva con il personaggio di Ziggy Stardust. È anche il momento in cui, nel leggendario live a Top of the Pops, la sua performance cambia la vita di innumerevoli persone grazie alla potenza simbolica che ebbe il suo abbraccio col chitarrista sul palco. Oggi sembrerà un gesto banale, ma nel ’72 fu sconvolgente, se si pensa che in Inghilterra, fino a pochi anni prima, era ancora in vigore la legge che proibiva la sodomia. Fu la prima volta che gli omossessuali europei si poterono sentire non soltanto liberi, ma anche orgogliosi della propria sessualità, resa cool da una rockstar.
Siamo abituati a considerare Bowie un personaggio camaleontico, caratterizzato dal fatto di cambiare continuamente maschera e personaggio (da Ziggy a Aladdin Sane, dal Thin White Duke a Lazarus). Un’attitudine che aveva mutuato dalla fondamentale intuizione, forse suggeritagli dal suo beniamino Andy Wharol, che la musica rock non era altro che una fenomenale macchina per generare sogni e illusioni. Intuizione che non si limitò a sfruttare nella sua attività di performer, ma che utilizzò con successo anche come produttore: basti pensare al restyling da lui attuato sull’immagine dei suoi colleghi e maestri, Lou Reed e Iggy Pop, durante il periodo berlinese.
Lou Reed “genderizzato” da Bowie
Non stupisce, dunque, il fatto che solo pochi anni dopo ritratterà completamente il suo coming out, affermando che la sua bisessualità era stata inventata come parte del suo personaggio. Gino Scatasta ha indagato le molteplici origini della fascinazione di David Bowie per il travestitismo ed il gender bending, svelando i significati nascosti dei testi delle canzoni e risalendo alle diverse influenze culturali – da Nietzsche al cyberpunk di Ballard, per giungere alla conclusione che questa tematica, lungi dall’essere limitata al periodo glam, ricorre in maniera sotterranea in tutta la produzione dell’artista, accanto ad altre più evidenti come quella fantascientifica.
Seguendone il filo in tutta la sua carriera, ha dimostrato come sia presente finanche nell’ultimo lavoro (Black Star, del 2016, uscito pochi giorni prima della morte di Bowie in un’incredibile operazione al contempo di pubblicità e body art). In una continua ibridazione, tra parodie della sessualità stereotipata e reminiscenze dei cabaret della Repubblica di Weimar, passando per le collaborazioni degli anni ’90 e 2000 con artisti famosi per il crossdressing (la modella transgender Andreja Pejic tra gli altri), il Duca Bianco ha mantenuto costante il suo interesse per il mondo queer in una continua appropriazione culturale che ha saputo però anche farsi rivendicazione, il che lo ha reso un beniamino della comunità omossesuale.
L’iconico gesto della “Guitar Fellatio”
Dopo il successo di questo appuntamento, non potete mancare al prossimo: il 21 marzo alle ore 17:30 presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna. Anche questa volta parleremo di musica, con Paola Scrolavezza che condurrà un incontro dal titolo Visual Kei: il lato oscuro del rock giapponese anni ’80.
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