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Devilman Crybaby: amore e lacrime in un mondo d’odio e violenza

12 Febbraio 2018
Martina Zuppa

Devilman Crybaby è una serie anime originale Netflix in dieci episodi, dove la regia di Yuasa Masaaki reinterpreta il pessimismo e il nichilismo insiti in uno dei più bei lavori di Gō Nagai, approfondendone aspetti chiave, che fanno di questa serie non una semplice trasposizione, ma anche una spietata analisi del mondo contemporaneo.

Fudō Akira, sensibile ed empatico, è il protagonista delle vicende. Dopo la partenza dei genitori per l’America, vive come ospite a casa Makimura. Sviluppa un legame molto forte con i componenti della famiglia, in particolare con Miki. Un giorno viene contattato dal suo amico di infanzia Asuka Ryo, il quale lo coinvolge nella lotta contro i demoni. I demoni sono creatura semplici, guidate dai più bassi istinti, che si fondono con gli esseri umani per sopravvivere in questo mondo. Gli esseri umani non hanno speranza di vittoria contro questi esseri, ma Akira sì. Akira, grazie al suo cuore puro è in grado di ospitare in sé un demone senza lasciarsi sopraffare dalla crudeltà e dalla brama di uccidere. Diventa così Devilman, il cui corpo e la cui forza sono quelli di un demone, ma il cui cuore rimane dolorosamente e tragicamente umano.

“L’amore non esiste.”

È con questa frase che si apre la narrazione. Nonostante la forte negazione dell’esistenza di questo sentimento, l’amore in tutte le sue forme è protagonista indiscusso dell’opera. È l’amore che spinge Akira ad accettare di combattere per difendere questo mondo. Un amore spiccatamente simbolico che riprende il tema cristiano della compassione. Analizzando la narrazione in questo senso possiamo allora accostare la figura di Akira a quella di un martire che combatte e si sacrifica per l’umanità, forse alla figura di Cristo stesso. Il Vangelo in cui è narrata questa moderna trasposizione dell’Apocalisse, però, viene trasmesso agli uomini tramite i social network e cerca di arrivare ai loro cuori tramite dei tweet. E in questo uso delle moderne tecnologie, parte integrante e imprescindibile della narrazione, sta la forza di alcuni momenti salienti.

Alcune scene conclusive, inoltre, ci spingono a riflettere e ad accostare Akira a una figura Christi.

“Non esiste nulla del genere.”

Le voce continua però a negare l’esistenza dell’amore. Il sentimento viene infatti – non solo in apertura – più volte problematizzato. Se l’amore esiste, e come prova della sua esistenza possiamo citare lo stesso Akira, chi è in grado di provare amore? Gli esseri umani che commettono tante violenze e si macchiano di crimini atroci provano amore? Possono arrogarsi il diritto di essere gli unici esseri in grado di provare amore? O anche le azioni dei demoni, così istintive e brutali, possono a volte legarsi a questo sentimento?

Le relazioni che ci vengono mostrare in una ripetizione quasi disarmante si caratterizzano per la forte attrazione carnale, il desiderio sessuale, la fusione dei corpi. È vero però che questo desiderio di completarsi l’un l’altro può superare la brama di potere e il bisogno di provare piacere, venendo a coincidere con il sentimento dell’amore. Lo stesso Akira di fronte alla fusione di due demoni afferma: “a me è sembrato amore”.

“E quindi non esiste nemmeno la tristezza.”

In terza battuta ci viene proposto il secondo tema portante della narrazione: la tristezza. La tristezza e le lacrime che spesso rigano il volto di Akira sono date da quello spiccato senso di empatia che lo lega alle persone che lo circondano. Akira cerca la sua stessa capacità di comprendere e interiorizzare il dolore nelle persone a lui care, anche nello sguardo di ghiaccio che Ryo mantiene di fronte alle crudeltà che sconvolgono il mondo. Ryo, però, sembra continuare a sostenere, fino alla fine, l’inutilità di provare tristezza di fronte alla morte, perché i deboli sono inesorabilmente destinati a soccombere.

“O almeno così pensavo.”

L’ultima affermazione ribalta però tutte le precedenti e ci restituisce il significato profondo di tutto ciò a cui abbiamo assistito. Allontanandosi dall’aspetto ideologico del manga di Gō Nagai, l’anime diretto da Masaaki Yuasa ci restituisce una spiegazione molto più intima e sentimentale.

La “vittoria” di Akira non ha nulla a che fare con la forza fisica o le lotte violente, è una vittoria tutta psicologica: anche il nemico più crudele, colui che brama la distruzione del più debole, come ovvia conseguenza della sua condizione inferiore, alla fine è costretto ad ammettere la sconfitta; le lacrime gli rigano il volto e quello che sente nel suo cuore non è altro che amore. È l’amore, ancora una volta, il protagonista indiscusso di questa vittoria.

Devilman Crybaby ci accompagna con una narrazione veloce, intricata, piena di riferimenti, sicuramente crudele, una narrazione che però ci ossessiona anche dopo il finale. È un’opera che ci porta ad abbandonare la visione manichea più tradizionale, in cui bene e male si affrontano in un’opposizione che ha i tratti del divino. Ci suggerisce, invece, una diversa filosofia: anche nei luoghi più bui, segnati da criminalità e perversione, anche nel cuore del nemico più freddo e calcolatore può albergare l’amore, perché in fondo siamo tutti dei Devilman.

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