Bangkok Nites (2016) è il film del regista giapponese Tomita Tatsuya proiettato in chiusura nella seconda parte dell’Asian Film Festival tenutosi a Bologna in questi giorni. Innanzitutto non bisogna farsi scoraggiare dalla durata, tre ore circa, nel corso delle quali ci viene presentata la situazione di Thaniya Road, uno dei tanti quartieri a luci rosse di Bangkok, unitamente, con il progredire del film, a uno spaccato della situazione dei villaggi disseminati nelle zone rurali.
In particolare la pellicola si concentra sulla storia di Luck, una sorta di regina nel quartiere a luci rosse di Bangkok dove lavora, al punto da potersi permettere di vivere nel lusso e nello stesso tempo di mantenere la propria famiglia nella regione dell’Isan, una delle più povere del paese.
Luck è giovane, bella e richiesta. Luck è benvoluta anche tra le colleghe nonostante si tratti di un ambiente competitivo dove tutte hanno bisogno di lavorare: ognuna infatti ha problemi e responsabilità che gravano sulle proprie spalle. Un equilibrio che però si spezza quando Luck incontra Ozawa, un giapponese del quale si era invaghita anni prima e che ricambiava i suoi sentimenti, tornato ora a Bangkok per cercare un qualche tipo di impiego. Le circostanze li portano a partire insieme per far visita alla famiglia di lei, ricordando il passato e facendo progetti per il futuro. Tuttavia c’è molto da considerare e purtroppo non si può avere tutto ciò che si desidera.
Dal punto di vista delle tematiche, oltre alla questione della prostituzione in Thailandia e in particolare a Bangkok, a fare da contorno ci sono i problemi legati alla droga, e l’illegalità; non solo, ci viene presentata una serie di figure che da parti diverse dell’Asia arrivano a Bangkok per cercare lavoro o divertimento. Nello specifico il film si concentra sugli uomini che dal Giappone vanno in Thailandia per i motivi sopracitati, offrendoci un’immagine del giapponese medio molto diversa da quella stereotipata che spesso ci viene proposta.
Ozawa e Luck sono i due personaggi più rappresentativi: lui è uno di quei tanti uomini che non ha nulla né in Giappone né a Bangkok, e vive un po’ alla giornata cercando di fare affari per guadagnare qualcosa; lei invece è una delle tante ragazze di origine povera che si spostano dalle campagne in città per cercare lavoro e mantenere la famiglia, spesso appunto finendo inevitabilmente nell’ambiente della prostituzione.
Il ritmo del film è piuttosto costante, senza momenti di eccessiva lentezza, ma anche senza colpi di scena. Eppure riesce a riempire le tre ore della sua durata in maniera mai noiosa, aggiungendo sempre qualcosa alla trama.
Nonostante la storia di fondo sembri quasi un’analisi del contesto sociale all’interno del quale si muovono i protagonisti, il dramma si mescola a momenti di ironia e talvolta spensieratezza che vanno ad alleggerire le principali tematiche vissute dai vari personaggi. Questi ultimi, esclusi i protagonisti, ricoprono tutti ruoli più o meno rilevanti ai fini dell’intreccio perché vanno a costituire un’ampia gamma di soggetti che alla fine pongono le fondamenta al contesto nel quale poi Luck e Ozawa si muovono e con il quale si rapportano.
Si tratta quindi di una pellicola che può risultare apparentemente tediosa ma che non va sottovalutata poiché riflette sottilmente su alcuni aspetti di città come Bangkok, senza entrare troppo nel dettaglio ad esempio per quanto riguarda eventuali scene a sfondo sessuale, ma allo stesso tempo senza escludere nessuna delle effettive problematiche che si possono trovare in determinate zone della Thailandia; il tutto senza tralasciare l’aspetto culturale tradizionale tuttora vivo nelle aree più remote e povere.