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Hamano Sachi: uno sguardo differente sul mondo dell’erotismo giapponese

5 Settembre 2017

 

Hamano Sachi racconta con stupore quando al Tokyo International Women’s Film Festival del 1997 hanno acclamato Tanaka Kinuyo, affascinante attrice mizoguchiana, come la più prolifica regista giapponese di tutti i tempi, con ben sei lungometraggi al suo attivo. All'epoca Hamano aveva già superato i trecento titoli. 

Se è stata dimenticata il motivo è facilmente immaginabile. Lavora principalmente con il genere considerato minore dei pinku eiga, film paragonabili al soft-core, in cui l'elemento sessuale è sempre ben presente, ma mai fine a se stesso. Palestra per giovani esordienti rifiutati dall'industria tradizionale, è stato per molti il luogo di ardite sperimentazioni.

Hamano muove i primi passi alla Wakamatsu Production, verso la fine degli anni Sessanta, dove immediatamente si scontra con una mentalità machista. La pornografia, nelle sue varie declinazioni, è un territorio di dominio maschile e la donna assume esclusivamente il ruolo di oggetto di piacere. Hamano, lontana da questo mondo (è infatti l'unica regista a non essere stata a sua volta attrice) fronteggia produttori e registi, nel tentativo di mostrare una sessualità femminile sovversiva e libera, rendendo nuovamente la donna un soggetto attivo. La strada è stata molto lunga, le è costata anche il nome: nata Sachiko ha dovuto rinunciare al suffisso che ne indica la femminilità, poiché nessun uomo vedrebbe mai un film erotico diretto da una donna. Ma questa costanza e determinazione le ha anche permesso di fondare, a circa quindici anni dal suo esordio, la propria casa di produzione, la Tantansha, in collaborazione con Yamazaki Kuninori, scrittore e sceneggiatore con cui condivide un'anima profondamente radicale ed emancipata.

Con film come Body Trouble, kafkiano sguardo psicologico su un uomo che si risveglia in un corpo femminile, o il suo primo lungometraggio tradizionale, In Search of a Lost Writer: Wandering the World of the Seventh Sense, basato sulla vita della scrittrice Midori Osaki, Hamano fonda la propria poetica sulla libertà di esprimere se stessi in ogni singola sfaccettatura, senza inibizioni e condizionamenti sociali. Sicuramente la sua opera di maggior impatto è Lily Festival, film del 2001, che racconta di un gruppo di donne tra i settanta e i novant'anni e del loro desiderio sessuale. Un film eversivo per una società capace di accettare il desiderio solo se riguarda un corpo giovane e bello, e che invece desessualizza e stigmatizza le persone anziane. L'opera è decisamente in controtendenza con la maggior parte della produzione mondiale, dove la terza età è rappresentata come bisognosa di cure, in procinto di soccombere di fronte ai problemi sociali o, nei casi migliori, come portatrice di una saggezza antica.

L'erotismo giapponese affascina molto gli occidentali e anche per questo è importante la figura di Hamano, uno sguardo femminile e femminista, una nuova prospettiva capace di rompere gli schemi per ricostruire un mondo più aderente alla realtà.

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