NipPop ancora a Udine per l'edizione del FEFF 2014: siamo con Giuseppe Gervasio, che non ha veramente bisogno di essere introdotto, soprattutto al nostro pubblico di NipPop.
Interprete e appassionato di cultura giapponese, primo socio ammesso da Assointerpreti (la prestigiosa Associazione Nazionale Interpreti di Conferenza Professionisti) per la lingua giapponese, vanta una grande esperienza ovviamente in festival, e in particolare al Far East di Udine.
La prima domanda forse un po' ovvia, ma penso sia interessante per chi ci segue. Lavorare come interprete in un festival che cosa vuol dire?
Diciamo che è un'esperienza sempre molto particolare per una ragione: quando vieni chiamato in un festival per fare l'interpretariato è sempre interpretariato di cineasti, quindi hai un gruppo di persone che sono non solo particolarmente interessate, ma creano film, a partire da registi, produttori, attori, che davvero spaziano nei ruoli più incredibili. È uno dei lavori più complicati da svolgere, perché un giorno magari fai l'interpretariato di un film su un personaggio schizofrenico, invece il giorno dopo fai l'interpretariato di un personaggio che deve essere un chirurgo di fama mondiale. Finisci per spaziare su tutta una serie di argomenti nei quali probabilmente nella vita quotidiana in realtà non ti imbatteresti mai. Quindi, ogni volta che vengo qui, c'è sempre un po' l'ansia da prestazione nel dire: chissà se riuscirò a farcela? Intanto è sempre necessario guardare i film precedentemente, perché nella visione ci possono essere delle citazioni di luoghi, di romanzi esistenti che magari in giapponese hanno un titolo e poi ne hanno un altro, completamente diverso, in inglese, e magari un altro ancora in italiano. E tu devi un po' vedere come districarti da tutte quante queste cose. E ultima ma non ultima, la gioia di poter spesso guardare un film in santa pace per due ore da solo, perché agli interpreti viene data questa opportunità, e così uno si può godere un film senza nessuno attorno, totalmente preso da queste realtà alternative, che hai la possibilità così di goderti e di fruire per un paio d'ore.
Hai già in realtà anticipato quella che era la nostra domanda successiva: come ci si prepara per questo tipo di lavoro? Proprio perché implica che nel giro di pochissimi giorni, a volte anche nell'arco della stessa giornata, tu in realtà lavori con registi, attori diversi, e su film diversi. Quindi ci chiedevamo: come è il lavoro di preparazione? C'è un contatto precedente con registi e attori? Ricevi i film in anteprima?
Allora, dipende dalle mostre del cinema con cui ho l'opportunità di lavorare. Ad esempio qui per il FEFF l'organizzazione è davvero sempre molto solerte, quindi io chiedo sempre di avere le copie del film, o comunque la possibilità di visionarli con almeno alcuni giorni di anticipo rispetto al giorno in cui ci sarà la necessità del servizio d'interpretariato; e loro sono sempre non solo cooperativi, ma davvero: qualunque richiesta venga fatta dall'interprete, lo aiutano tantissimo perché ci tengono, appunto, che il risultato finale possa essere soddisfacente da tutti i punti di vista. Andando nella fattispecie di quello che faccio, ecco, visto che ci siamo incontrati proprio con questo gruppetto di NipPop, oggi erano tre i registi durante la conferenza stampa: uno era il regista di “Termae Romae II”; poi avevamo “My Pretend Girlfriend”, quindi il primo una commedia, poi il secondo una commedia romantica però con dei risvolti tristi; il terzo, “Bilocation”, era un thriller con a volte qualche tinta horror. Per riuscire a tradurre questi film e avere comunque ben in mente determinate scene ho cercato di vedere il primo e il terzo film in una giornata, e il secondo l'ho visto proprio ieri. A mano a mano che il film si svolge, io tengo un block notes davanti a me e comincio a segnare quelle che possono essere delle frasi che mi colpiscono particolarmente e poi potrebbero essere riproposte nel momento delle domande da parte del pubblico. Prendo anche le sinossi e le schede per sapere tutti i nomi degli interpreti che il regista potrebbe giustamente nominare per varie ragioni. E quindi c'è – diciamo – un doppio lavoro: un lavoro su internet per sapere chi ha fatto il film, cosa ha fatto fino a quel momento, e il lavoro di visione del film per sapere quali sono i contenuti e cosa può suscitare. E alle volte faccio una specie di brainstorming con me stesso pensando: ma se fossi uno del pubblico, se fossi un giornalista che domande farei? Cerco di immaginarle e già magari prepararmi un po' di potenziali risposte.
Un’altra domanda, legata a questa: a parte il lavoro precedente di preparazione, è necessaria una grande concentrazione. Noi abbiamo assistito stamattina alla conferenza stampa appunto: tre registi, tre film molto diversi, le domande del pubblico che possono essere le più varie. Veramente: come fai a mantenere la concentrazione per un tempo prolungato? Dato che un'ora, un'ora e mezza di conferenza stampa in realtà sono tanto.
Lo so, è vero. Ogni tanto, devo dire che, nei momenti in cui mi siedo, la bocca comincia a funzionare quasi per vita sua, perché cominci a sentire quello che ti dicono e, non so, io la chiamo la magia del momento perché fino a un minuto prima c'è una forte eco in fondo al mio cervello che mi continua a ripetere “voglio la mamma!” e poi invece miracolosamente, quando mi siedo lì e sento questa gente che parla, è come se le parole fluissero spontaneamente. La concentrazione, è vero, serve perché comunque hai a volte degli stacchi, in cui ci può essere uno degli interlocutori che va più veloce e tu sai che invece traducendo devi ricorrere a delle perifrasi, perché ci sono delle cose in giapponese che sono super-sintetiche e che in italiano diventano tre o quattro parole. Allora in quel caso quello che fai è continuare ad ascoltare con le orecchie e, a mano a mano, lasci sempre più distanza con la frase originale e intanto completi la frase di modo che in italiano abbia un senso compiuto equivalente a quello che è stato detto. E poi, sempre continuando a mantenere l’attenzione sull’ascolto e sul parlato, cerchi di andare avanti, per questo può succedere che gli ultimi tre o quattro secondi dopo che l'interlocutore ha finito di parlare, siano quelli in cui l'interprete finisce. E questo è diciamo il lag, che poi è normale che si sviluppi nel lavoro. Però la concentrazione è anche il fatto che, se ti dicono un nome, se ti dicono una data, se ti dicono qualunque cosa, anche se stai ascoltando e parlando, devi far sì che la tua mano diventi un ente a parte e si scriva quelle cose. Perché tu magari quel nome o quella data li utilizzerai in fondo alla frase, perché così appunto era stato in giapponese, o per dare l'effetto finale. Non so, per esempio: “Perché questo film verrà distribuito in Giappone in tale data”. Se già cominci a dire la data come si fa in giapponese, e poi procedi con il resto della frase, si può produrre un senso di innaturalezza. Allora si crea, ripeto, quello che è un po' il miracolo della sedia dell'interprete : ti siedi lì e per qualche ragione hai tutte queste parti del corpo e tutti e cinque i sensi che lavorano indipendentemente, miracolosamente.
Diciamo che nel caso di alcuni interpreti, il tuo caso, funziona particolarmente bene, anche se non è sempre così.
Mi ricordo, a proposito di film, che c'era questa scena bellissima di una pellicola che ha al suo attivo diversi oscar vinti, “Shakespeare in Love”, dove c'era un personaggio, quello che gestiva il teatro; sembrava che tutto andasse sempre a rotoli e tutti gli chiedevano: “No, come fai a dirlo?” e lui: “It's a mistery!” “È un mistero!”. Però poi le cose andavano, e la stessa cosa funziona con gli interpreti.
Sono molti anni che tu collabori con il Far East Film Festival e hai fatto interpretariato in cabina oppure consecutiva, quindi vari tipi di esperienza, vari tipi di tecnica. Hai conosciuto tantissime persone. Qual è il momento che ricordi con più piacere delle esperienze vissute qui a Udine?
Questa è una bella domanda! Allora devo dire che oggi abbiamo avuto un picco meraviglioso nel momento in cui il regista di “My Pretend Girlfriend” e il regista di “Termae Romae II” hanno spiegato al pubblico presente in sala che cos'è un “washlet portatile” e che i “washlet” sarebbero queste tazze dei sanitari nei bagni dove ci si siede e hanno tutti quanti i tastini per la funzione bidet e quant'altro, per cui tutta la funzione di lavaggio viene, come dire, eseguita rimanendo comodamente seduti. E loro si sono messi a spiegare come è la versione portatile, ed è arrivato il regista con questa specie di thermos, in cui si mette l'acqua calda e si apre un braccino che spara l'acqua direttamente in modo che non ci debba essere un contatto con la mano. E il regista di “Termae Romae” diceva: così, non deve esserci il contatto della mano con certe parti, come invece so che spesso succede qua in Italia… Il pubblico rideva a queste battute che io riportavo, e vedevo questa bellissima interazione fra il pubblico e i registi, tutto su una serie di battute molto immediate. Ecco, quando questa immediatezza riesce a diventare davvero transculturale, grazie all'interprete, e c'è questa possibilità di botta e risposta assolutamente immediato, vederli divertiti, quello è assolutamente un bellissimo momento. Poi la fortuna di aver potuto incontrare qui tanti registi importanti… io mi ricordo il primissimo che ho tradotto: è stato il regista del film “The Ring”, che ricordo mi era piaciuto molto per il genere horror e così via. E da lì è stata davvero sempre un'escalation del FEFF. Quindi, sia in consecutiva, sia per le interviste, sia in simultanea, è stato davvero sempre molto interessante, soddisfacente e bello.
E invece un momento imbarazzante c'è stato? Sappiamo che la carriera dell'interprete è costellata di momenti imbarazzanti, che ravvivano comunque il lavoro…
È vero! Soprattutto quando incontri giapponesi che si mettono a parlare di bidet e di altre cose che potete leggere nei miei pezzi per il sito di NipPop, sempre parti intime o altro.
No, qui al FEFF però di momenti particolarmente imbarazzanti non ce ne sono stati. Divertenti sì. Imbarazzanti forse nel senso di vedere quella parte della cultura otaku che per tanti una volta era fonte di imbarazzo sviluppata qui quasi con motivo di orgoglio. Ricordo il film di Yattaman, in occasione del quale mi pare fosse venuto il produttore, e si era presentato con un cappellino di pelle con la scritta "Y", come il cartone animato originale appunto.
È stata un'occasione molto divertente, vedere quella che era la cultura otaku quasi ribaltata. Quello che era appunto motivo di imbarazzo, cioè un certo tipo di interesse verso il Giappone – non si deve fare sapere che si leggono manga, che si guardano anime – veniva lì ribaltato totalmente, e c'è stata quasi una standing-ovation, sia per il film, che nei confronti del produttore, che per altro dava bellissime risposte. Diciamo quindi che, al contrario, è stata una situazione di imbarazzo superato.
Durante le interviste ti capita mai nella traduzione di cercare di rendere più interessanti delle domande troppo banali?
Purtroppo quello no, anche se le domande sono, come dire, i momenti in cui percepisco la grande bravura e preparazione e prontezza di spirito di chi viene qui come ospite. Nel senso che le domande che arrivano sono davvero di tutti i tipi. Ci sono stati dei film per cui davvero a volte hai dieci interviste con dieci contenuti tutti quanti molto simili a livello di domande. La cosa incredibile è che spesso le persone che vengono invitate qui hanno una grandissima prontezza di spirito, per cui le risposte non sono mai le stesse, e, anche se magari i concetti che esprimono sono simili, riescono sempre a enuclearli in modo diverso. Quindi no, io come interprete non faccio mediazione linguistica, quindi riporto la domanda e riporto la risposta. Fungo solo da vettore vocale all'intervista. Però – ripeto – la cosa grandiosa è vedere poi come all'interno di una stessa domanda, fatta e rifatta magari in vari modi, queste persone geniali, che comunque sono grandi registi e grandi attori, sappiano davvero riportare determinati elementi discorsivi, narrativi con parole sempre nuove. E, anche se appunto potrebbero davvero risultare ripetitivi, non lo diventano mai.
Quello che mi ha colpito spesso vedendo registi, ma anche a volte scrittori o artisti molto famosi, sono la loro disponibilità e la grande apertura verso il pubblico, e la totale assenza di arroganza. Ovviamente non vale per tutti, ma nella maggioranza dei casi è una cosa che colpisce sempre molto.
E adesso, parlando d'altro e non semplicemente della tua attività d'interprete, perché tu comunque sei anche un esperto e un appassionato di cultura giapponese, e non solo un mediatore linguistico, veniamo a questa edizione del FEFF: quali sono le tue impressioni sulla selezione dei film giapponesi?
Devo dire che ci sono stati alcuni film che mi sono davvero piaciuti tantissimo, perché in questa edizione secondo me è stato riportato un elemento che ho sempre riscontrato come positivo nel cinema giapponese: l'umanità. Il primissimo film, il cui titolo in inglese è “Fuku-chan of FukuFuku Flats”?. Tratta la storia di una specie di blocco di appartamenti, i FukuFuku, dove c'è questo imbianchino, e la cosa spettacolare è che uno magari crede che sia un imbianchino comune e invece scopre che è un'attrice, è una donna che ha recitato la parte dell'uomo in maniera assolutamente egregia. Ed è molto bello perché ti fa vedere come, quando sei un bambino, un'esperienza negativa può segnare il resto della tua vita non semplicemente per la negatività, ma perché successivamente vuoi cercare di sviluppare un contatto con gli altri in modo che questi nella loro vita non debbano mai provare quella negatività. Quindi, come dire, il famoso “non tutto il male viene per nuocere”. Però, nonostante questo, ti rimane una ferita interiore dentro e per riuscire poi a sanarla servono delle interazioni, che sono un po' la maglia del film. E poi anche “My Pretend Girlfriend”, bellissimo perché si riprende, anche in questo caso, una storia di bambini, che mi pare frequentino le scuole medie o poco più, e l'approccio di questo ragazzo che si ritrova ad avere una fidanzata che non è la sua, ma gli viene affibbiata da un caro amico semplicemente perché questo caro amico voleva tenere il piede in due scarpe con due signorinelle. E il film racconta la ferita che hanno subito sia la ragazza che il ragazzo. Una specie di quadrato amoroso, più che un triangolo, in cui le emozioni hanno contato in modo così forte da plasmare il futuro, e trasformare i due protagonisti in persone che hanno voluto credere che sarebbe andato tutto bene ed è andato bene, ma con la tristezza di sapere che c'è sempre stata una menzogna iniziale di fondo. E poi “Termae Romae”, che è davvero divertentissimo. L'autrice del manga, Mari Yaazaki, che tra l'altro è venuta anche a NipPop nel 2013, è una persona di un talento e di una simpatia sorprendenti, con una conoscenza dell'Antica Roma incredibile e con questo spirito che le ha permesso di immaginare che un antico romano arrivi nel Giappone dei nostri giorni e quasi non si accorga della differenza culturale, perché la civiltà romana era così avanzata da fargli quasi pensare per esempio che il “washlet” non fosse nient'altro che una tazza, un articolo sanitario, con delle persone che lo aprivano, lo riscaldavano a fiato e quant'altro. Una cosa davvero geniale. E poi c’è “Bilocation”, un horror/thriller, che gioca sul fatto che ognuno di noi si trova sempre di fronte a delle scelte e a volte queste scelte portano a grandi insoddisfazioni. E allora, cosa potrebbe succedere se esistesse un'altra forma di noi stessi, che parallelamente alla nostra esistenza proseguisse su un'altra strada che magari poi può diventare quella negativa? Davvero tanti stimoli e tante idee tutte quante gestite bene a livello cinematografico, e a livello di storia. Un altissimo livello in questa edizione del FEFF, per quello che riguarda la parte giapponese e la giapponesità, che secondo me un po' mancava ultimamente perché si tendeva un po' alla globalizzazione.
E secondo te fra questi film ce n’è uno che è particolarmente interessante e che avrebbe la possibilità di vincere? Che pronostico faresti?
Il pronostico è complicato perché non sai mai che cos'è che alla fine faccia più leva sull'interesse del pubblico. Senza dubbio se dovesse trattarsi della commedia, immagino che “Termae Romae” sarebbe un possibile vincitore. Se invece, appunto, dovesse essere il thriller maggiormente preso in considerazione, allora “Bilocation” è davvero fatto benissimo, e l'idea delle gemelle siamesi, la bambola inquietante che viene usata per le locandine già ti apre la mente a nuove fantasie. Per l'elemento umano sarebbe una bella gara fra gli ottimi “Fuku-chan of FukuFuku Flats” e “My Pretend Girlfriend”. E no, quindi non mi lancerò nel pronostico, perché davvero dipende da che cosa poi al pubblico rimarrà di più di questi film, che nel loro genere sono tutti quanti brillanti.
Ti ringraziamo per la tua disponibilità, e un saluto per gli amici di NipPop?
Certo assolutamente! Mi raccomando ci vediamo – non voglio sbagliare le date – il 6, il 7 e l'8 di Giugno a NipPop 2014, a Bologna. Vi aspetto! Per tanto Giappone, per tanta cultura pop e per tanta cultura asiatica, tutti quanti insieme. A presto!
Grazie.
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
3 maggio 2014